Agricoltore, contadino, altermondialista, militante, rivoluzionario, attivista, passeur-citoyen, eroe, criminale, Robin Hood dei migranti.
Ecco alcuni della lunga lista di aggettivi che la stampa internazionale ha attribuito a Cédric Herrou, diventato famoso per essere “colui che aiuta i migranti tra le montagne della Valle Roya”. Tra irruzioni della polizia e processi a Nizza, la sua storia è rimbalzata su un incredibile numero di pagine e piattaforme online, dando vita ad un flipper di reazioni che hanno toccato perfino la sempre più lontana America di Trump.
Eroe o criminale?
I telegiornali non hanno nemmeno il tempo di presentare tutte le azioni di aiuto ai migranti che Herrou ha effettuato in questi anni che subito l’interrogativo si impone nel caos della notizia. D’altronde, quale piacere più sottile potrebbe mai stuzzicare l’animo umano se non quello di poter accendere la televisione e indossare per un attimo i panni di un giudice davanti ad un imputato inerme?
Eroe o criminale?
Cédric non si è mai posto questa domanda. E non si è mai nemmeno immaginato di diventare un giorno un caso nazionale. Né quando apriva le portiere del suo furgone per far attraversare la frontiera franco-italiana a dei richiedenti asilo né quando ha dato un tetto ad una cinquantina di Eritrei occupando una stazione abbandonata della Sncf (la Trenitalia francese, solo più cara e con meno ritardo).
Non è stato dunque l’aspirazione ai famosi “15 minuti di celebrità” declamati da Warhol a spingerlo a compiere numerosi atti illegali nei confronti della legge francese? Nemmeno la speranza di un attivismo politico che potesse diffondere un segnale grazie ai media?
Mentre mi guarda negli occhi attraverso quegli occhiali tondi (e maledettamente in stile francese), Cédric Herrou non nega la storica tradizione di resistenza e impegno civile della Valle Roya. È qualcosa di cui va fiero, perché è il mondo in cui è cresciuto, mano nella mano con l’associazione Roya Citoyenne, che conta centinaia di aderenti. E attraverso le sue parole e quelle di altri due attivisti, venuti a fargli visita (rigorosamente a piedi) attraverso la valle prima del processo, si propaga nell’aria un irresistibile profumo di semplicità.
Quella semplicità di cui la natura è la regina indiscussa e gli agricoltori i suoi primi discepoli. Quella semplicità che non nasconde un secondo fine nelle sue azioni. Quella semplicità da parole spicce e dirette, che fanno camminare degli aspiranti giornalisti attraverso una delle strada più pericolose d’Europa. Quella semplicità che risponde in primo luogo agli istinti della coscienza, e subito dopo alle leggi dello Stato.
Sarà per questo che con la stessa semplicità con cui ha accettato di incontrarmi Cédric Herrou si è vestito, con gli abiti di sempre, per andare in tribunale il 10 febbraio. Ad aspettarlo c’erano migliaia di persone che vedevano in quell’impassibile contadino un esempio da applaudire per coraggio e per sostegno. E c’era anche un Procuratore, che dopo la condanna a tremila euro di multa è stato ringraziato da Herrou per aver fatto appello alla sentenza, dimostrando anche lui una grande dose di “semplicità made in Valle Roya” («je n’osais pas le faire moi même de peur que vous pensiez que je me serve de la justice comme d’une tribune politique»).
Cosa ci dimostra questa semplicità? Probabilmente il fatto che Cédric Herrou finirà presto in qualche cassetto di ricordi giornalistici per lasciare spazio ai consueti discorsi politici sull’immigrazione. O forse che grazie alla mediatizzazione dei suoi gesti altri attori della vita quotidiana si renderanno colpevoli dell’ormai celebre “reato di solidarietà”. Per ora l’unica cosa sicura è che la fedina penale di Herrou è ormai inesorabilmente macchiata da un reato nazionale, ma «continuerò a fare quello che ho sempre fatto quando ho la possibilità di aiutare qualcuno, senza pormi eccessive domande» ci dice abbozzando il primo sorriso, con estrema semplicità.
Perché l’umanità non è un crimine, e non lascia macchie.