Perché conoscere l’inflazione?

Sentiamo molto spesso parlare dell’inflazione: ai telegiornali, alla radio o nei talk-show si accendono molti dibattiti intorno a questo tema, alle sue implicazioni legate all’economia o a come si possa tenere sotto controllo. L’inflazione è un concetto che c’è da sempre e si riferisce alla crescita costante e generalizzata dei prezzi dei beni nel tempo.

Se ne riscontrano le prime evidenze a partire dai sumeri e dagli egizi intorno al 2100 a.c.. Numerose civiltà furono toccate da questo problema. Nella storia moderna, infatti, fu la Spagna ad essere la protagonista assoluta, in quanto, grazie alle risorse depredate dalle popolazioni dell’America Latina, si trovò ad avere grandi quantità di oro e risorse preziose da portare in Europa e condizionare così il mercato europeo. Nella storia più recente, ci sono stati casi di inflazione molto alta nei paesi sudamericani tra il 1950 e il 1990. Al giorno d’oggi, invece, la situazione legata alla guerra tra la Russia e l’Ucraina non sta di certo favorendo un’inflazione “controllata”, infatti le previsioni economiche per i paesi europei e in generale a livello mondiale non sono tra le più ottimistiche, basti pensare alla Russia che ha un’inflazione prevista per il fine 2022 del 12-13%, mentre in Europa si attesta intorno al 10%, fanno eccezione solo USA e Cina con valori mediamente sotto al 3%.

Da cosa deriva tutto questo di inflazione molto alta? Per fare un’analisi il più completo possibile, la situazione va vista sotto molti punti di vista e tenendo conto di numerose variabili. Una prima variabile da considerare sono senza ombra di dubbio i costi dell’energia, che hanno un grosso impatto sulle economie della maggior parte delle famiglie, che devono sostenere costi per il riscaldamento e per l’energia improvvisamente più alti rispetto a quanto erano abituate. Lo stesso impatto i costi dell’energia lo hanno sulle aziende che, per non lavorare in perdita o addirittura fallire, devo ribaltare parte di questi costi sui prezzi dei loro prodotti con il rischio di perdere clienti. I vari stati subiscono lo stesso impatto poiché se le famiglie faticano a consumare e le aziende a produrre, le tasse che verranno versate saranno minori rispetto a prima.

Dal punto di vista monetario, la situazione non è migliore poiché se i prezzi aumentano nel tempo automaticamente il valore stesso della moneta diminuisce, provocando una progressiva erosione dei risparmi. Come si esce da questo circolo vizioso? Molti pensano che basti mettere i soldi sotto il materasso ed il problema è risolto. La realtà, però, è ben diversa perché, come scritto prima, i soldi si svaluterebbero. Molte persone, invece, reagiscono alle difficoltà economiche diminuendo le spese e risparmiando. Un’altra strada possibile è quella dell’investimento, costruendo una buona strategia con un buon tasso d’interesse nel tempo si riesce mantenere il potere d’acquisto dei propri risparmi, riparandosi dai periodi di inflazione più variabile.

L’Italia è ancora un paese di risparmiatori: e allora?

Se confrontato con gli altri paesi, l’Italia si conferma essere un paese di grandi risparmiatori. Quando c’è grande incertezza, come quella conseguente ad una situazione sanitaria molto pesante come quella dettata dalla pandemia del Covid, o un’altra molto più imprevedibile determinata dai delicati equilibri politici legati alla tensione Russia-Ucraina, gli italiani preferiscono detenere la propria ricchezza in depositi bancari o direttamente sui conti correnti. Ciò è dovuto naturalmente alla sfiducia verso il futuro e alla possibilità che si presenti in questo periodo qualche imprevisto. Ma siamo sicuri che sia una notizia positiva?

Nonostante l’Italia sia uno dei pochi paesi in cui le retribuzioni medie sono calate, il patrimonio totale del suo popolo è superiore ai 100000 miliardi di euro, una cifra molto considerevole, di cui una parte consistente è detenuta ferma in giacenza su depositi bancari e conti correnti. Prima che scoppiasse la guerra in Ucraina, durante la pandemia, la tendenza a risparmiare si è confermata con un aumento di circa 150 miliardi di euro in giacenza sui conti correnti. Dati alla mano, sembra essere una situazione rosea e tranquillizzante, se non fosse che l’inflazione, in questo periodo, risulta essere fuori controllo. L’aumento generalizzato e prolungato dei prezzi, infatti, sta portando sempre più ad una consistente erosione del potere d’acquisto. Questo che cosa significa? Che i risparmi, con il passare del tempo, potrebbero portare ad un impoverimento generale del patrimonio liquido giacente sui conti correnti. Infatti, se l’inflazione rimanesse su questi livelli per almeno una decina d’anni, si calcola una perdita potenziale sul patrimonio nazionale di circa 1000 miliardi. Questa situazione ci porta ad interrogarci sui numerosi quesiti che in maniera automatica si sviluppano. Come mai si detiene una quantità così spropositata sui conti correnti o nei depositi bancari? Non c’è davvero nessun altro posto dove metterla? L’Italia potrebbe utilizzarla per compensare l’esorbitante debito pubblico? 

Partendo dall’ultimo quesito, qualche politico di turno ha proposto un prelievo forzoso, mascherato da tassa patrimoniale, da parte dello Stato sui conti correnti, con l’obiettivo di pareggiare le misure utilizzate per far fronte all’emergenza economica attuale oppure volto a restituire i vari prestiti chiesti ed ottenuti dall’Europa. Considerando invece gli altri due quesiti, viene spontaneo pensare che questo possa diventare un problema economico senza via d’uscita. La verità è che molte persone continuano a detenere la liquidità sul proprio conto corrente e non investono per paura del rischio connesso agli investimenti e per la sfiducia verso gli stessi intermediari finanziari. Negli anni si è tentato di migliorare la cultura finanziaria degli italiani per avvicinarli al mondo degli investimenti ma l’educazione finanziaria è ancora insufficiente per poter dire di aver risolto il problema. Considerando la liquidità ferma, se venisse investita, porterebbe beneficio non solo all’investitore tramite l’interesse maturato ma anche alla comunità, dal momento che sarebbe fonte di benessere per la collettività stessa. 

Dal canto loro, gli operatori del settore finanziario, quali banche e assicurazioni, hanno sviluppato numerosi progetti in tal senso, che però non hanno raccolto i risultati attesi. Con l’avvento dei social, però, sono emersi numerosi influencer dell’ambito economico che stanno tentando di colmare questo gap. Sarebbe auspicabile, però, un intervento deciso dello Stato al fine di promuovere l’educazione finanziaria come un primo passo verso l’uscita da questa impasse.

 

Andrò mai in pensione?

Quando si parla di pensione, ci capita spesso di incappare in alcune frasi fatte del tipo “La pensione chissà se la vedrò”, “Lavoreremo tutta la vita, non la vedremo mai” e molte altre frasi simili. Il sentimento più comune radicato nella maggior parte degli Italiani rimane comunque una fiducia, seppur lieve, nello Stato, che si basa sul fatto che lo Stato c’è stato in passato e quindi ci sarà anche in futuro. La verità è che la situazione dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) non è affatto rosea. In molti esperti hanno denunciato le condizioni dei conti di quello che dovrebbe essere il nostro garante di una buona condizione futura dal punto di vista previdenziale. 

Facciamo però un passo indietro: molto legata al concetto di pensione è la liquidazione ossia il Trattamento di Fine Rapporto (TFR), una quota percentuale, circa il 6,91% del reddito lordo annuo, che ciascun lavoratore dipendente matura durante il proprio rapporto di lavoro e lo stesso datore di lavoro dovrà liquidargli alla fine di tale rapporto di lavoro. Il concetto di liquidazione è nato nel 1927 e serviva per riconoscere un somma al lavoratore che gli permettesse di vivere fino alla finestra successiva di pensionamento. Ad oggi, comunque, la liquidazione è una componente importante per coloro che sono prossimi alla pensione. Merita qualche considerazione anche il sistema di gestione ed erogazione delle pensioni, in quanto c’è stata un’ evoluzione, si è passati infatti dal sistema retributivo a quello contributivo. Il primo era considerato il sistema più corretto in quanto prendeva in considerazione una media delle retribuzioni degli ultimi anni considerando fino a quarant’anni di contributi versati. Il sistema contributivo, quello attuale, invece, si basa sulla somma dei contributi versati moltiplicata per un coefficiente di trasformazione che va di pari passo con l’età di pensionamento. Questo tipo di sistema penalizza chi ha difficoltà a trovare un lavoro stabile, con contributi versati costantemente. Questo cambiamento, dal primo al secondo sistema, si è avuto con la legge Dini del 1995, che, per la fase di transizione, ha varato un sistema misto composto da entrambi i metodi di calcolo. 

Questo tema ha suscitato e sta suscitando molta preoccupazione nelle fasce di lavoratori più giovani per diverse motivazioni tra cui la difficoltà di trovare un lavoro stabile e la crisi demografica che stiamo attraversando dovuta soprattutto alla denatalità. Lo Stato, tuttavia, ha emanato nuovi provvedimenti circa una decina d’anni dopo la legge Dini, promuovendo anche in Italia lo strumento del fondo Pensione. La legge che li introduce fu varata nel 2005 e successivamente modificata nel 2007. Lo Stato, tramite questa misura, ha dato una via d’uscita a questo problema e sta promuovendo sempre più un’adesione collettiva da parte dei lavoratori dipendenti a questi fondi, in modo tale da “alleggerire” in un certo senso l’INPS. Un primo vantaggio derivante dall’adesione a questi fondi è un forte sgravio fiscale, sia che si aderisca tramite un versamento volontario sia che sia aderisca tramite il versamento del proprio TFR. Il secondo grande vantaggio è la rivalutazione mediamente superiore che i fondi riescono a garantire rispetto all’INPS. L’adesione a questi fondi è in crescita lenta ma costante, sinonimo che molte persone hanno compreso l’importanza di tutelarsi di fronte a questo problema.

È difficile risparmiare?

Che sia stato un viaggio con gli amici piuttosto che una pizza in compagnia, oppure la semplice condivisione delle spese di famiglia, ognuno di noi, almeno una volta nella vita, ha avuto la necessità di tenere sotto controllo le proprie finanze. A tal fine, negli ultimi tempi, sono state sviluppate numerose applicazioni per smartphone  che danno la possibilità di suddividere un qualsiasi tipo di spesa tra coloro che hanno contribuito: un metodo  certamente molto efficace quanto veloce da utilizzare per riuscire a determinare l’apporto di ognuno dei  partecipanti.

La realtà è ben diversa quando si tratta delle nostre finanze e risparmi. In questo caso,  subentrano diverse ragioni di natura matematica e psicologica, che rendono difficile tenere sotto controllo i propri soldi. La prima categoria è la più facile da notare: spese come l’affitto, l’alimentazione e l’abbigliamento sono sicuramente indispensabili, ma ad esse vanno aggiunte le voci di spesa che rendono il nostro stile di vita più accettabile come l’istruzione, la cultura e la cura della persona. Posto che la cultura del risparmio è ben radicata in Italia, l’insieme di queste necessità ha ridotto ancora di più la quota delle entrate che abitualmente si destinava al risparmio, tant’è che nell’ultimo ventennio, tale valore si è ridotto dal 20% al 9% del proprio reddito disponibile.

Le ragioni di natura psicologica ruotano attorno alla definizione più semplice del risparmio, che prevede la rinuncia all’opportunità di spesa immediata per destinare le proprie risorse per il futuro. Questo significa costituire un salvadanaio che porterà benefici nel futuro e non nell’immediato. Per quanto possa sembrare una realtà tutt’altro che rosea, esiste qualche metodo per porre rimedio a questa situazione.

Un suggerimento proviene dalla regola del “50-20-30”, citata per la prima volta all’interno del libro “All Your Worth: The Ultimate Lifetime Money Plan”. Il volume è il risultato di vent’anni di studi in questo campo da parte della senatrice statunitense Elizabeth Warren, docente di diritto commerciale a Harvard, e da sua figlia Amelia Warren Tyagi. Secondo tale regola, il primo passo da compiere è quantificare le proprie entrate. Una volta compreso il proprio budget mensile, tale somma viene suddivisa in tre macroaree, che seguono la logica dei numeri indicati. Il 50% del budget mensile deve essere destinato alle proprie necessità personali, quali, ad esempio, cibo, affitto, abbonamenti dei mezzi pubblici. Il 30% del budget deve essere destinato invece a spese di necessità secondaria come le cene fuori,  l’abbonamento in palestra piuttosto che l’abbonamento a servizi streaming come Netflix. Il restante 20% del budget può essere destinato al risparmio per il futuro. Adesso non resta che provare ad adattare questo  metodo alla propria situazione, rimanendo consapevoli che si può godere delle opportunità del presente  riuscendo comunque a riservare delle risorse per il proprio futuro.

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