Alhelì è un libro molto speciale. Tutte le storie che contiene sono nate dalla fantasia di un gruppo di bambini cresciuti nella periferia di Quito, nel quartiere di Tiwintza, dove opera la fondazione franco-ecuadoriana Ecuasol, alla quale si è aggiunto il talento di sette illustratori italiani.
Quando ho avuto la fortuna di conoscere la bellissima storia di questo progetto dalla voce della giovane brillante Tanja Di Piano, psicologa operante nel contesto dov’è sbocciato Alhelì, ho deciso che avrei dovuto assolutamente condividerla con più persone possibili.
Per chi ha fame di libri, idee e storie che ti riscaldano l’anima, ecco l’intervista che mi ha concesso Tanja, con la disponibilità e l’entusiasmo di chi prima di insegnare qualcosa ai bambini, ha saputo da loro imparare.

1. Quando si pensa all’atto di raccontare storie di solito immaginiamo i bambini in qualità di ascoltatori; come nasce l’idea di farle invece raccontare proprio a loro?

A Quito il tempo cambia in continuazione. Devi avere sempre addosso una maglietta a maniche corte, una felpa calda, un antipioggia e nel dubbio pure una sciarpa. Era un pomeriggio molto piovoso quando nacque questo progetto. Mi trovavo in una biblioteca per bambini, cercando un testo da usare con loro durante alcuni laboratori che stavo tenendo. L’idea mi è balenata lì, per terra, sulla moquette. Ho subito inviato un messaggio a chi sapevo mi avrebbe ascoltato e che era a conoscenza del lavoro che stavo facendo: “E se gli facessi scrivere delle storie loro al posto di fargli leggere quelle di qualcun’altro?”. Era un progetto timido, un’idea in punta di piedi, ma ha toccato i cuori giusti, ed è diventato questa meraviglia di libro, scritto dai bambini e per i bambini. Farlo in un quartiere come Tiwintza nasce dalla consapevolezza di quanto poco spazio sia stato dato alla loro fantasia e creatività. Nasce dalla volontà di mostrare e dimostrare loro come un’idea e una storia, così astratte e impalpabili, possano prendere forma nella concretezza di un libro illustrato. Nasce dalla voglia di aiutare questi bambini, negli anni in cui si sta definendo la loro forma mentis, ad aprire i loro pensieri verso nuove prospettive, esplorando nuovi mondi, fuori e dentro di loro, per valorizzarli e dar loro una possibilità di crescita differente da un apprendimento prettamente scolastico. Un altro approccio educativo che si affianca al tipo di lezioni che sono abituati a ricevere durante il loro percorso di vita.

2. Per aiutare i bambini e ragazzi nel progetto di narrazione creativa si è servita di qualche “attrezzo del mestiere” particolare?

Una mente super aperta, un po’ di umiltà e un sacco di creatività. Avevo un’idea su cosa volessi fare, un canovaccio di strumenti e punti focali, certo, ma ho cercato di chiedere l’opinione di tantissime persone. Dai miei colleghi, alle persone in Italia, a giornalisti, scrittori, maestre… ho trovato tantissima disponibilità, tantissima voglia di condividere e offrire punti di vista. Li ho raccolti tutti e li ho fatti miei, prendendo il buono e adattandoli a chi avevo davanti. Nella pratica si è trasformato in un viaggio nella fantasia. Ho iniziato portandoli in braccio, facendo laboratori semplici, con l’aiuto di strumenti come il Dixit (usato in varianti molto diverse). Poi ho camminato un po’ per mano con loro, studiando insieme le parti delle fiabe, memorizzando quelle che più ci piacevano e cambiandone qualche parte. E infine, dopo giochi, disegni e rappresentazioni teatrali di quello che avevamo imparato, mi sono messa da parte, e ho lasciato che la loro creatività sbocciasse. Sono stati divisi in gruppi, più o meno per età, e con ognuno di loro abbiamo fatto un brainstorming durato un paio di incontri dove avevano la possibilità di esprimere tutte le loro idee, che sono state raccolte; gli abbiamo dato insieme una forma e sono stati scelti i dettagli come i nomi, il titolo ecc. Una volta finita l’abbiamo riletta insieme e voilà, la magia era fatta.

3. Come se l’è cavata con la diversità della lingua? I bambini l’hanno aiutata a farsi capire? Come?

Sono arrivata alla fondazione Ecuasol per una serie infinita di congiunzioni astrali, grazie alla grande fortuna di aver incontrato persone che mi hanno dato una fiducia inaspettata. L’impatto iniziale è stato indubbiamente complicato dal punto di vista linguistico: condividevo la casa e il luogo di lavoro con ragazzi francesi e dovevo relazionarmi tutti i giorni con bambini e adulti che parlavano spagnolo. Inutile dire che non conoscevo nessuna delle due lingue, sarebbe stato troppo semplice! Dalla mia ho grande testardaggine e caparbietà, quindi all’inizio mi sono servita di qualche malcapitato che parlava un po’ di inglese perché mi facesse da traduttore e nel frattempo ho preso lezioni, senza fare altro che studiare. Nel giro di un mesetto sono passata dal semplice: “Qual è il tuo animale preferito?”, grande cavallo di battaglia che ho usato con TUTTI i bambini, presa dal panico, a poter avere conversazioni sempre più articolate e adatte al mio lavoro. I bambini, come sempre, sono stati uno spettacolo, e con alcuni di loro la “barriera” linguistica è stata quasi una fortuna, perché mi ha permesso di avvicinarmi ed essere avvicinata in una maniera diversa e forse più delicata rispetto ad un approccio standard; utilissimo con chi, come loro, non ha vissuti semplici.

4. Chi si è occupato della parte illustrativa e grafica del libro?

La parte grafica (ma anche quella relativa alla ricerca degli artisti e degli sponsor e la spinta al rendere questo progetto bellissimo e grande com’è diventato) è merito di Boumaka, uno studio di graphic designers che si trova a Torino (li potete sbirciare qua: http://www.boumaka.it/ita/). Senza i componenti di Boumaka questo progetto avrebbe preso una piega molto più silenziosa, io ed Ecuasol dobbiamo loro tantissimo. Per quanto riguarda gli artisti incredibili che hanno prestato il loro tempo e talento alla causa sono: Daniela Goffredo (www.facebook.com/dadaillustrations), Alice Lotti (www.alicelotti.com), Serena Ferrero (www.facebook.com/santamatitaillustration), Elyron (www.elyron.it), gli Happy Centro (www.happycentro.it), Gianluca Cannizzo (www.facebook.com/mypostersuck), Hikimi (www.hikimi.it).
Ognuno con il suo stile, ognuno bravo da lasciarci il cuore.

5. Saprebbe darci qualche informazione su cos’è e come opera la fondazione Ecuasol?

Ecuasol è una fondazione franco-ecuatoriana situata a Tiwintza, quartiere svantaggiato della zona nord di Quito, in cima ad una montagna; il suo obiettivo è aiutare circa sessanta bambini e ragazzi dai 6 ai 20 anni e le loro famiglie durante la crescita, mediante un approccio a 360 gradi. Fornisce una possibilità di crescita alternativa a quella che può venire offerta dalle prospettive di un quartiere come quello, che si ritrova ad essere tra i più svantaggiati sia a livello economico sia socio-culturale. Nello specifico Ecuasol si occupa di supportare l’istruzione, di regolare l’alimentazione, di affiancare le famiglie e offrire supporto psicologico (parte di cui mi sono occupata io nello specifico), di far eseguire check up annuali e visite mediche specialistiche, di dare un aiuto economico alle famiglie, di organizzare workshop e attività ludico-ricreative. Il team che lavora nella fondazione è composto da quattro insegnanti che si occupano prettamente della parte scolastica, due cuoche che fanno in modo che i bambini abbiano un pasto sano e bilanciato ogni giorno e diverse figure professionali per la parte di contabilità, comunicazione, pedagogia e aiuto socio-assistenziale.

6. Lei ha insegnato ai bambini di Quito a raccontare storie, potrebbe svelarci qualcosa che loro hanno insegnato a lei?

Nella mia vita ho avuto la fortuna di collezionare tantissime esperienze con i bambini, sia all’estero che in Italia, tra il volontariato e il lavoro, e se c’è un pensiero che ho consolidato sempre di più negli anni è che noi “grandi” ci portiamo a casa molto di più di quello che lasciamo ai piccoli. I bambini sono delle spugne a fattezza d’uomo, nel bene e nel male assorbono tutto ad una velocità impressionante. Hanno molti meno filtri sociali; difficilmente non ti diranno quello che pensano senza filtri di sorta. Hanno la capacità di farti delle domande così spiazzanti nella loro semplicità che ti ritrovi obbligato a riflettere sul mondo e su te stesso. Sanno pretendere, sanno ridere in maniera incontrollata, sanno ascoltare ciò che conta e darti il mondo, senza troppi convenevoli. Per i bambini di Ecuasol, che arrivano da una situazione incredibilmente complicata sotto ogni punto di vista (la maggior parte di loro ha vissuti di violenze dirette o indirette, genitori alcolisti o con problemi di droghe, difficoltà economiche molto impattanti e problematiche di salute notevoli) ho in particolare una profonda ammirazione, per la caparbietà e la resilienza che dimostrano ogni giorno di avere. Ribalta le prospettive sulle tue priorità avere a che fare con degli esserini così piccoli eppure così coraggiosi.

7. C’è una storia che preferisce in questa raccolta, una che l’ha personalmente colpita di più?

Questa domanda è come chiedere ad una mamma se ha un figlio preferito. Eticamente scorretto, segretissimamente un pochino veritiero! Sono tutte bellissime e molto molto personali; la personalità di ogni membro del gruppo è venuta fuori in maniera inaspettata e quasi commovente. Le ho viste nascere, svilupparsi e prendere le forme più svariate e non potrei essere più fiera del risultato. Forse però, la storia intitolata “Verdi di invidia” mi ha rubato il cuore un pochino più delle altre; l’ha ideata un gruppo di bimbe molto piccole e ho trovato stupendo come siano riuscite a far passare un messaggio “forte e chiaro” in maniera così delicata. Hanno tutta la mia invidia per essere riusciti a trovare delle storie così uniche e belle.

8. Che cosa significa “Alhelì”?

Non è stato semplice trovare un nome che potesse rappresentare la bellezza, la forza ma anche la precarietà e la difficoltà della vita dei piccoli grandi esseri umani che fanno parte della fondazione Ecuasol; quando abbiamo trovato Alhelì, che ha un significato forte e delicato allo stesso tempo, ci è quindi sembrato perfetto. “Alhelì” è infatti il termine spagnolo per definire quei fiori spontanei e variopinti in grado di crescere in qualsiasi ambiente, anche sfavorevole: come le crepe, le fessure dei muri, gli spazi angusti e difficili.

9. Dove è possibile acquistare il libro?

Visto che il progetto è stato sviluppato interamente pro bono, vogliamo che tutti i proventi vadano alla fondazione. Abbiamo quindi scelto di non coinvolgere case editrici o librerie che prendessero una percentuale sulla vendita. Al momento il modo più semplice per poter avere il libro è chiederlo a me, a qualcuno dei nostri meravigliosi artisti, o alla pagina di facebook: https://www.facebook.com/progettoalheli.