«Chi combatte contro i mostri deve guardarsi dal non diventare egli stesso un mostro. E quando guardi a lungo in un abisso, anche l’abisso ti guarda dentro». Così recita un celebre aforisma di Friedrich Wilhelm Nietzsche e chissà se Donato Carrisi si sia ispirato proprio a questa frase per intitolare il suo ultimo romanzo, Io sono l’abisso (Longanesi, 2020). Parrebbe proprio di sì, poiché spesso e volentieri di abisso si parla in questo nuovo thriller, sempre inquietante e pieno di suspense, come ogni storia orchestrata da Carrisi. L’abisso è quello del lago di Como che fa da sfondo alla vicenda, «il posto più tranquillo della Terra», o almeno così viene definito dai giornali; in realtà spesso rigetta sulle sue rive parti di cadaveri (suicidi o forse no) dispersi da chissà quanto. L’abisso è anche quello di una piscina nera, putrida e abbandonata, nella quale il protagonista, ancora bambino all’inizio del romanzo, rischia di affogare.

Proprio quest’ultimo, infatti, è un vero mostro umano. Un reietto, un emarginato dalla società; un essere invisibile che vive nell’ombra. L’autore lo chiama «l’uomo che puliva», senza mai rivelarne il nome. Apparentemente, infatti, sembra un semplice netturbino, silenzioso e molto meticoloso, forse troppo. È in realtà un uomo che ha vissuto violenze psicologiche e fisiche fin da bambino e che matura una mente turbolenta, malata, posseduta. Ed è anche lui, in effetti, un abisso: un pozzo senza fondo, un mostro imprevedibile, capace di fare del male e nello stesso tempo del bene. Capace di uccidere (e uccide, quasi subito all’inizio della vicenda) ma capace anche di salvare la vita ad altri.

Infatti, in una mattina come tante altre, sceglie di soccorrere una ragazzina, «la ragazzina col ciuffo viola», quando questa si getta volontariamente nelle acque turbinose del lago, rischiando di affogare. L’uomo la vede, la salva e poi fugge, senza lasciarsi identificare; ma la sua esistenza da quel momento cambia per sempre. Un istinto irrefrenabile lo attrae verso di lei, vuole sapere di più della sua vita; inizia a seguirla, a spiarla, ma solo con l’intento di proteggerla. E tutte le volte che «la ragazzina col ciuffo viola», viziata e piena di problemi, figlia di una ricchissima famiglia che abita sulle sponde del lago, avrà bisogno di lui, «l’uomo che puliva» sarà sempre pronto a intervenire, esponendosi sempre di più e rischiando di farsi scoprire.

C’è qualcuno infatti che nel frattempo sta facendo delle indagini, e sta per arrivare proprio a lui; questo a causa del ritrovamento di un braccio, che il lago ha fatto riemergere dai suoi abissi, e che appartiene ad una signora non ancora ben identificata. La donna che sta indagando sulla vicenda è la «cacciatrice di mosche», un personaggio con un passato denso di sofferenze, che aiuta le donne vittime di violenza domestica tramite un linguaggio segreto: ogni volta che una fidanzata o una moglie ha bisogno di aiuto, deve lasciare «un barattolo di sottaceti fra i surgelati» di un noto supermercato, e la «cacciatrice di mosche» saprà intervenire.

Il ritrovamento del braccio di questa donna sconosciuta non convince la cacciatrice per certi dettagli, e quindi si spingerà ad indagare a fondo, sempre più a fondo, fino a scoprire tutta la verità.

Io sono l’abisso si rivela ancora una volta un thriller psicologico di grande intensità. Al di là della suspense che riesce a mantenere nelle pagine, la storia va a toccare diverse tematiche sempre attuali: la psicosi maturata dopo un’infanzia turbolenta, la depressione adolescenziale, la violenza sulle donne. Carrisi riesce a mescolare con maestria tutti questi ingredienti per dare vita ad un racconto che ci fa riflettere, ma che soprattutto ci fa guardare inevitabilmente nel nostro, di abisso; per riemergerne in seguito più sicuri, o forse ancora più incerti di prima.