Il primo passo nella sala illuminata mi proietta in un altro universo. Un pensiero mi punge la mente come una freccia, e mi stuzzica per tutta l’intervista: « La potenza della luce sovrasta ogni cosa ». Ed in effetti sembra essere proprio lei la protagonista di questo incontro, tanto intimo quanto atteso, con un giornalista dalla storia tutta particolare. La piccola fotocamera della nostra televisione d’università si fa largo tra gli imponenti apparecchi di France 3, canale di rilevanza nazionale, che dominano la sala tra l’imbarazzo di tre giornalisti in erba. Tra camere monumentali e carrelli a scorrimento, sono l’improvvisazione e il sorriso la nostra arma di punta. Eppure, nella scenografia perfetta della biblioteca del campus, è proprio questa luce intensa “rubata” ai professionisti a spogliare un ospite di tutte le aspettative di superiorità create al suo riguardo.

In questa atmosfera, Kamal Redouani si siede elegantemente nella poltrona e ci sorride amichevolmente, in attesa della prima domanda dell’intervista. Non ha bisogno di fogli sottomano, né di libri da presentare: lui stesso è la storia da raccontare. Il vincitore del premio Rising star award  2014 per il cortometraggio “Islam contro Islam: inchiesta di una nuova guerra” è un concentrato di semplicità sorprendente. Dopo quasi dieci anni di speciale “infiltramento” in numerose forze jihadiste, qualsiasi eufemismo ha perso senso per questo giornalista. E il fatto che la semplicità sia uno dei sentimenti che emergono con più prepotenza tra le sue dolci parole né è la prova.

Kamal potrebbe essere ancora in qualche radio qualunque, a parlare di un soggetto qualunque, ascoltato da gente qualunque. Ma dopo otto anni a Radio France International, il signor Redouani ha sentito nell’aria la vera essenza del giornalismo e senza sé e senza ma ha deciso di coglierla. Come? Andando a “lavorare sul campo”, come si dice in gergo, con un equipe tecnica ed una telecamera sempre a portata di mano.

Così, partendo con la testimonianza degli oppositori dell’occupazione americana in Iraq, passando per la caduta del presidente Ben Ali in Tunisia e per il cuore della Primavera Araba, Kamal è approdato nel mondo dei salafisti jihadisti (Credete davvero che si chiamino “fondamentalisti islamici”?) per seguirne passo dopo passo lo sviluppo, fondazione dello Stato Islamico (daech) compresa. Nel suo libro “Inside Daech”, raccoglie tutte le esperienze raccolte fianco a fianco con semplici soldati o comandanti dell’Isis, viste da un punto di vista inusuale e personale.

Perché tutto questo? È la domanda che gli poniamo anche noi in questa famosa intervista, rilasciata espressamente per Sciences Po Tv del campo di Menton. « Per informare, semplicemente. Ho filmato la guerra, la morte, la speranza; ho incrociato talmente tanto odio e sofferenza da averne la mente piena». E allora cosa può mai spingerlo ogni volta a ripartire? Essenzialmente è la stessa domanda che ci porge anche lui: « A cosa possiamo ancora servire, noi giornalisti, quando le azioni più immonde sono rivendicate nel nome di una religione? ».

D’altronde, lo sguardo di Kamal si distingue dalla tipica immagine occidentale del Medio Oriente per la volontà di documentare i dissidi interni di società e paesi dilaniati da contraddizioni e lotte. I musulmani non sono tutti animati dagli stessi sentimenti e i documentari di questo autore offrono una visione profonda e inedita di eventi storici come il post-Gheddafi in Libia e le tensioni alla frontiera tra Turchia e Siria.

Per questo motivo il lavoro di Kamal Redouani continua, « per tutti quelli che hanno perso la vita a Parigi, per i miei colleghi morti sul campo, per l’umanità che esiste ancora in ogni angolo del mondo, anche il più scuro. È compito nostro continuare a fare lo zaino e tornare a porgere il microfono ad esseri umani davanti ai quali si sono spalancate le porte dell’inferno, ma anche agli altri, coloro che considerano che la parola “libertà” sia blasfemia ».