16 Febbraio 2017 | Vorrei, quindi scrivo
Si sedette alla scrivania, con la voglia di scrivere. Gli piaceva lasciarsi guidare dalla penna, le prime righe erano sempre una scoperta. Poi, improvvisamente, un’idea, un’illuminazione. No, una vera e propria ispirazione. Tra le labbra un sorriso, e via, iniziava a creare. Cosa? Non lo sapeva ancora con esattezza, ma ormai la sua mente aveva un’idea, una meta. Il bello era scegliere, tra un’infinità di modi diversi, come giungere a destinazione.
Teneva sempre a mente la sua prima volta, mentre componeva: quel giorno aveva davanti a sé un blocco di fogli bianchi, alto e largo quasi quanto la sua testa, una penna blu e tanta voglia di lasciare una parte di sé su quella carta. Non sapeva però come iniziare, non aveva qualcosa da scrivere, ma solamente un forte desiderio di farlo. Non sapeva ancora che tutto ciò sarebbe diventato parte della sua vita. Quella volta i fogli furono un po’ maltrattati, d’altronde il tempo gli avrebbe insegnato che per scrivere ci vogliono solo tre ingredienti fondamentali: la fantasia, la pazienza e la conoscenza di se stessi. La fantasia non mancava, ma aveva ancora molto di sè da conoscere. Di pazienza poi ne aveva ben poca quel giorno, aveva solo dieci anni.
Ricordava sempre quel momento prima di iniziare, in modo da poterlo fare con un sorriso. Ecco, un sorriso, o una lacrima, o qualsiasi altra emozione. Quando qualcuno leggeva i suoi scritti le cercava quasi ossessivamente nei volti, negli occhi, tra le pieghe delle labbra. Si nutriva di ciò, la sua giornata diventava autentica quando riusciva a capire cosa aveva trasmesso, come si sentiva il lettore subito dopo aver terminato di leggere. Voleva incontrare i suoi lettori, parlarci, conoscerli.
Un giorno però non riuscì ad ascoltare nulla, semplicemente perché la persona che le si presentò davanti non parlò, disse solamente: “Indovina ciò che provo”. Davanti a lui sedeva una ragazza, non l’aveva mai vista, ma quando la guardò negli occhi si perse. Ci vollero cinque minuti per ricordarsi di ciò che stava facendo e cosa gli era stato detto. Non rispose nulla. Lei si alzò e andò via, senza dire altro.
Era passato così tanto tempo dall’ultima volta che aveva provato qualcosa del genere. Lasciò l’incontro e corse a casa. Era di nuovo quel bambino di dieci anni, era impaziente, aveva la testa piena d’idee, ma non sapeva più chi era. Un semplice sguardo gli aveva tolto ogni certezza. Piangeva, o forse fuori pioveva. Non sapeva se l’avrebbe rincontrata. Cosa le avrebbe detto? Proprio lui, che non credeva nei colpi di fulmine, che li giudicava così stupidi.
Trasformò ciò che aveva dentro in carta ed inchiostro:
Se solo il mio cuore fosse una penna
e tu la mia pagina,
ti bacerei lentamente d’inchiostro,
e con la mia punta mi svelerei su di te.
Sulla tua pelle rimarrei impresso per sempre,
così che tra una venatura e l’altra
chiunque potrebbe scorgere il mio amore.
Qualche giorno dopo lei tornò ad un incontro. Gli si sedette davanti, stava per dire qualcosa ma lui la interruppe.
“Sai quali sono i tre ingredienti principali che servono per scrivere?”
Lei, sorpresa, rispose: “No, quali?”
“Nessuno”. E le diede un pezzetto di carta.
19 Ottobre 2016 | Vorrei, quindi scrivo
E’ un po’ che non ci sei più, ma non sai quanto mi manchi. Mi mancano le tue risate, mi mancano i tuoi suggerimenti e i tuoi rimproveri.
Spesso penso a quando una persona, mossa dall’ansia o dalla ricerca di un senso di fronte a una realtà sfuggente, sfoglia qualche pagina di un libro in cerca di citazioni che possano dare un significato al momento vissuto. Ecco, l’altro giorno è accaduto a me. Eppure tutte quelle frasi non sono nulla senza il tuo tono di voce, e pensare che i concetti che mi confidavi avevano pressapoco lo stesso valore di quelli che ho letto. Però la tua tonalità cambiava tutto.
Una tua carezza o un tuo abbraccio avevano un sapore delicato. Mi verrebbe da dire “Infame” a chi ha fatto in modo che io potessi restare su questo pianeta senza di te. Ma tu eri il primo a ripetere: “Ogni cosa ha il suo tempo, Cucco”.
Non è che mi hai fregato con queste parole?
Tu, nonno, sai come ci si sente quando si sogna un amore ma tarda? Quando si pensa ad una ragazza e non capisci se le interessi? Quando un suo messaggio appare la fine del mondo non appena ricevuto e poi ricadi nel purgatorio dell’attesa, in quell’attesa di una successiva risposta che non arriverà mai? Va bene che ogni cosa ha il suo tempo, però ogni tanto ci si stanca e si perdono tutte le speranza ad aspettare.
“Sai Cucco, sono stato anch’io fregato dall’amore. E più di una volta. Sia prima di sposarmi sia una volta sposato. Mi innamoravo e non era corrisposto. L’università suonava una magica sinfonia di note “No”. Poi sono stato trasferito nel nord dalla mia Sicilia, era il 1959. Non so ben dirti per quale motivo, ma mi hanno presentato tua nonna e ci siamo sposati. Tutto era splendido, dopo anni universitari insignificanti, credevo di aver trovato il compimento massimo della mia esistenza. Ero molto innamorato, poi un brutto male se l’è portata con sé. Eravamo ancora abbastanza giovani. L’amore mi ha fregato un altra volta.”
Non ti fa arrabbiare tutto questo nonno?
“Chi non si è mai arrabbiato nella vita? Siamo umani Cucco, ma forse anche i supereroi si arrabbiano, o per lo meno provano rifiuto per una certa situazione e così si impegnano a cambiarla. L’amore però ti frega anche qui. Secondo te, quando non c’è più una persona e tu sei ancora innamorato, come fai a cambiare la situazione?”
Te ne trovi un’altra o te ne fai una ragione…
“Farsene una ragione non è mai bello. Quando vedi un tuo amico triste per una storia d’amore finita non dirgli mai di farsene una ragione. Con i sentimenti non si gioca, bisogna sempre essere molto delicati, altrimenti ci si brucia troppe volte e poi si rischia di non giocare più all’amore. Ascolta il tuo amico, ricordagli i suoi sogni e desideri più profondi, ma non compatirlo con una pacca sulla spalla. Infatti l’amore è un gioco, fatto di corteggiamento, sorrisi, sguardi, scherzi, sorprese,… Troppe ferite, però, sono un grande danno. Demotivano, ti fanno chiudere in te stesso. Solo l’onesta verità permette di evitare terribili ferite. Bisogna sempre dire le cose come stanno all’altra persona, giocare con lei e non prendersi gioco di lei. Guai a te se pensi di fare il furbo!”
Sì, sì, va bene! Però, con nonna come hai fatto?
“Ho guardato le cose da un’altra prospettiva. Dopo tanti anni trascorsi con lei, tante avventure insieme e tante discussioni non potevo cancellare tutto. E’ stata dura, ma se questo dolore è stato il prezzo che si è dovuto pagare per ricevere il dono della nascita di tua mamma, allora sì, n’è valsa la pensa.”
Ah già, mamma… Nonno, senza cellulare e Facebook, come facevi per farti notare dalle ragazze?
“Era un bordello. Non esistevano i like, dovevi parlarci a quattr’occhi. Sai quanta paura Cucco?”
Quindi?
“O te le presentavo o dovevi escogitare una recita teatrale che neanche il metateatro pirandelliano appare così reale e improvvisato. Cioè, non doveva capire che avevi passato qualche notte in bianco a pensare come avvicinarla. Altrimenti il risultato si riassumeva in una parola: spacciato.”
Certo che queste donne sono strane. Se ti vedono un po’ titubante o troppo sbruffone ti scartano…
“Sono furbe, altro che strane. Loro con la vita hanno un rapporto speciale. La vita si genera in loro e la portano con sé per nove mesi. Con la vita ci parlano a tu per tu, almeno in fondo al cuore. Lasciamo stare le apparenze, la voglie di essere come quell’attrice o la gelosia per quell’amica più snella. Questa è un’altra faccenda, ma la radice della vita è in loro e magicamente riemerge di fronte ad un ragazzo, sempre che in loro ci sia verità e non altre aspirazioni. Le ragazze non cercano chissà quale comportamento o personalità, cercano un uomo forte.”
Tutti in palestra da domani?
“Quanto sei ingenuo Cucco. Forte perché vogliono un uomo con dei valori, convinto delle proprie idee ma sufficientemente umile per metterli in discussione. Non desiderano un ragazzo che ogni due per tre cambi idea o che, per la paura della solitudine, si adatta alla massa abbandonando i propri ideali. Il principe azzurro per loro è il ragazzo che è se stesso. Oscar Wilde diceva: -Sii te stesso, tutti gli altri sono già stati presi. E questo buffo irlandese aveva ragione.”
Tu nonno dove trovavi la forza per andare a parlare con le ragazze?
“A prescindere, da qualunque inizio di relazione con un’altra persona, può sempre nascere un’amicizia. Ma voi giovani non ci credete: volete o tutto bianco o tutto nero, ma per fortuna il buon Dio ha creato diverse sfumature. Comunque, il contrario della paura è il coraggio. Per amare ci vuole coraggio. E lo stesso era per andare incontro ad una ragazza. Non potevi nasconderti dietro lo schermo di un cellulare. Mettevi un po’ di coraggio. Tu, i tuoi capelli che proprio quel giorno non riuscivi a pettinare come volevi, la tua camicia e la tua camminata che, in quell’istante, ti sembrava la più goffa possibile. Una volta che la vedevi negli occhi, però, tutte queste cose scomparivano. Rimanevi solo tu, il tuo carattere, la tua simpatia, i tuoi pensieri e la tua camicia con le chiazze di sudore sotto le ascelle. Ricordati, Cucco, l’amore chiede coraggio. Ti mette a nudo, difetti compresi, ma sono proprio questi a fare la differenza.”
Nonno, grazie, ma io continuo a capirci sempre meno. Sembra tutto così complicato…
“Suvvia Cucco, cambia prospettiva. Non essere razionale sempre, ascolta un po’ il tuo cuore. L’amore è un gioco, il più semplice di tutti, ma vogliamo rendere anche questo cervellotico. L’amore si gioca se si ha un cuore di carne, non di pietra. Se si è disposti anche a lasciarsi ferire. Un cuore di pietra invece puoi solo scolpirlo, ma da questo non uscirà mai niente. Uno scrittore a cui ero tanto affezionato da giovane definì così “ti amo”: “Sono contento che tu esista e se tu non esistessi ti ricreerei tale e quale difetti compresi.” Questo giovane ci vedeva lungo. Cucco, il segreto sta proprio lì, difetti compresi.”
E quando eri lì, di fronte a lei, che succedeva? Come bisogna comportarsi?
“Cerca meno e lasciati incontrare di più.”
PS: grazie a chi ha scritto questo articolo, la sua insomnia mi ha bussato dentro dentro. (https://www.1000-miglia.eu/piace-la-tua-scelta/)
17 Ottobre 2016 | Vorrei, quindi scrivo
La notte è ormai inoltrata e non sono solito riportare per iscritto i miei pensieri. Nelle ultime ore è scattato qualcosa però e ho deciso di parlare di un sentimento; L’amore. Di sicuro avrei potuto cimentarmi con un argomento meno complesso ma la mente viaggia in certi momenti, penso tu lo sappia meglio di me. Non sono uno psicologo e men che meno un poeta. Quello che leggerai è il punto di vista di un ragazzo che, forse come te, si interroga su alcuni aspetti della vita.
La vita. Una cosa che, ogni tanto, molti di noi non sanno affrontare. Sono tante le domande. Spesso siamo spaventati dal nostro futuro o incatenati al nostro passato o peggio ancora disincantati dal nostro presente. I quesiti che ci poniamo ci attanagliano e ci frenano. Soprattutto in un ambito, in amore.
Questa sera, un sabato come tanti altri, tornato a casa da una serata tra amici ho rivisto un film molto interessante. Si chiama “Colpa delle stelle” tratto dall’omonimo libro di John Green. Tratta della storia d’amore tra due ragazzi malati di cancro e trovo sia una delle più belle storie d’amore trasposte su pellicola negli ultimi tempi. Dire che il film sia triste, frustrante e un po’ deprimente oltre che melenso potrebbe essere riduttivo ma scaturisce da esso qualcosa in più. Possiamo dire che quella rappresentata è una storia d’amore vera in un certo senso. Non sempre può esserci il “vissero per sempre felici e contenti”.
La vita non è semplice. La ricerca del più travolgente tra i sentimenti in essa men che meno. Questo è quello che traspare dal film. Ma ne vale la pena? Vale la pena creare fantasie su Quella persona prima di addormentarsi o di sperare in qualcosa a cui teniamo?
Per me è un sì. Chiaro e tondo. L’amore è quello che ci porta avanti e non sto parlando solamente di quello romantico. L’amore in quello che facciamo, l’amore per un hobby, l’amore in una canzone o in un’immagine o in un istante. Forse, nella nostra educazione, dovrebbero insegnarci a ricercare un po’ di amore nella nostra vita e non solo a preoccuparci degli impegni che si susseguono uno dopo l’altro nella nostra esistenza. Così andrà sempre tutto bene? Certo che no, non prendiamoci in giro. Come direbbero i protagonisti del film però: “il dolore esige di essere vissuto” e probabilmente non sempre deve, a tutti i costi, essere evitato.
Sono realista amico/a che stai leggendo. Ci saranno sempre dei momenti in cui ci sentiremo soli. Ci saranno sempre dei momenti in cui saremo spaventati. Ci saranno sempre dei momenti in cui ci sentiremo confusi. Ci saranno sempre dei momenti, spero pochi, in cui saremo tristi. Anche questo ci rende vivi. Alla fin fine come tutte le cose anche l’amore ha i suoi pro e i suoi contro. Citando per l’ultima volta quel film:” Non puoi scegliere di non soffrire in questo mondo, però puoi scegliere per chi (o cosa) soffrire. E a me piace la mia scelta.”. Quello che ti chiedo è, a te piace la tua scelta?
12 Dicembre 2015 | Vorrei, quindi scrivo
Un video, alcune parole, tante risate, pochi concetti per portare avanti la rivoluzione dell’educazione scolastica.
Sir Ken Robinson racconta, in uno dei suoi più grandi interventi alle conferenze TED, come potrebbe essere una scuola a misura di sogni, di vita e, soprattutto, di ragazzi della generazione Bataclan.
20 minuti per sconvolgere il proprio pensiero, per cambiare punto di vista, per assaporare la bellezza che si nasconde nell’uomo. Per comprendere che ognuno di noi è perfetto così com’è. Ma perché questo sia vita quotidiana, forse serve davvero una rivoluzione nell’educazione.
Amore per la scuola, passione per la vita.
PS: sono presenti i sottotitoli in italiano
3 Ottobre 2015 | Vorrei, quindi scrivo
“Pies para qué los quiero si tengo alas pa’ volar”.
(“Cosa me ne faccio di voi piedi se ho le ali per volare”).
Questo si chiede Frida Kahlo, pittrice messicana nata all’inizio del 1900, nel diario in cui ci apre le porte della sua vita. Una vita non sempre felice, una vita che l’ha fatta soffrire, una vita che le è spesso stata d’ostacolo, una vita che l’ha obbligata ad affrontare dolori e umiliazioni, ma una vita, sempre e comunque, vissuta al massimo e amata con tanto coraggio.
Magdalena Carmen Frieda Kahlo y Calderòn nasce a Coyoacàn, Messico, nel 1907, anche se nel corso degli anni disse di essere nata nel 1910, anno dell’inizio della Rivoluzione messicana, di cui si sentiva figlia. Fin dalla nascità soffrì di spina bifida (all’epoca scambiata dai medici per poliomelite) e a questo dolore fisico se ne aggiunsero presto altri. All’età di diciott’anni, infatti, venne coinvolta in un incidente tra un autobus e un tram a seguito del quale fu costretta a letto col busto ingessato per diversi anni e che la costrinse, nel corso della sua vita, a sottoporsi a 32 interventi chirurgici. Inoltre, durante l’incidente, una sbarra di metallo le attraversò il ventre e questo le causò, negli anni a venire, numerosi aborti. Gli anni passati a letto, però, non furono infruttuosi; iniziò infatti a dipingere (soprattutto autoritratti grazie ad uno specchio che i genitori le avevano messo sul soffitto del letto a baldacchino) e, una volta ricominciato a camminare (pur con difficoltà), portò questi dipinti a Diego Rivera, illustre pittore dell’epoca, che ne rimase meravigliato e che, oltre a presentarle i personaggi artistici più rilevanti di quel periodo, la fece entrare nel Partito Comunista Messicano, contribuendo ad aumentare il fuoco ribelle e indipendente già presente nell’animo di lei. Qualche anno dopo, nel 1929, i due si sposarono, ma questo matrimonio aggiunse altre sofferenze nella vita di Frida a causa dei frequenti tradimenti di lui. Ma uno dei più grandi dolori per la pittrice fu quello di non aver avuto figli, a causa del famoso incidente. A questi dolori emotivi possiamo aggiungere le molte difficoltà fisiche a cui andò incontro, quali l’amputazione di una gamba a causa della gangrena e l’embolia polmonare che la uccise, a soli 47 anni, nel 1954. Nonostante tutto e, anzi, forse anche grazie a questi ostacoli, il suo talento per la pittura crebbe a dismisura, e così anche la sua produzione artistica. In ogni dipinto lei raffigura la sua realtà e il suo mondo, narrandoci il suo dolore ma anche la sua incredibile forza e il suo enorme coraggio. A causa della particolarità dei suoi dipinti e dei molti simboli presenti, venne definita da André Breton “una surrealista creatasi con le proprie mani”, ma lei, che del Surrealismo diceva: “è la magica sorpresa di trovare un leone nell’armadio, dove eri sicuro di trovare le camicie”, non si sentiva rappresentata da nessun movimento artistico e affermava di dipingere, molto semplicemente, quella che era la sua realtà e, quindi, la sua vita.
Frida Kahlo ci ha narrato tutta la sua esistenza nel suo diario ma, soprattutto, tramite i suoi numerosi dipinti. Fu una donna che venne spezzata, come succede purtroppo ancora oggi, sia nel fisico che nell’animo. Fu una donna che, sin da giovane, visse attivamente la politica e la storia del suo Paese, fu una donna che seppe sempre come rialzarsi, fu una donna che, nel suo diario, dopo l’amputazione della gamba, scrisse: “spero che l’uscita sia gioiosa e spero di non tornare mai più”. Un grido di dolore, più che comprensibile, da parte di una donna che venne ferita, calpestata, umiliata, tradita, derisa, quasi uccisa dall’uomo che amava, dal mondo in cui viveva e dalla sua stessa esistenza. Ma un grido di dolore che viene smentito, solo otto giorni prima della morte della pittrice, da un dipinto, ancora una volta diario dell’animo di Frida, in cui lei dipinge una sorta di natura morta con frutti tropicali e in cui, con il coraggio e la vitalità che la caratterizzavano, molto semplicemente scrive:
“VIVA LA VIDA”.
Cecilia Dutto