Io dal 7 ottobre 2023 sono sempre stato in silenzio. Un po’ perchè ero disinformato, un po’ per paura, un po’ perché non è nel mio stile.

Ghali ha fatto una riflessione interessante attaccando il rap italiano e i suoi artisti non schierati: “il silenzio dei rapper ha ucciso il genere. Ne è rimasto solo lo stile, il suono, la forma” (https://www.instagram.com/p/DPW2VUvjDKS/?igsh=MWJxcDZtbmNtYXdoNA==). È interessante, perché oltre a combaciare col mio caso – per cui mi sono sentito, anche giustamente, aggredito in parte – introduce una riflessione sui caratteri di una forma d’arte e sul loro sviluppo in una fase storica, sociale e politica particolarmente delicata. Il genere, soprattutto in Italia, ha sempre avuto una componente socio-politica di spinta dal basso verso l’alto – o comunque in contrasto con l’establishment delle istituzioni e dei centri culturali tradizionali – da buona controcultura come spesso si è ed è stato definito. Oggi però, come vuole sottolineare Ghali, sembra taciturno. Il che può far saltare fuori il tema dell’impegno attivo nell’arte, della natura impegnata che l’arte può o non può assumere, deve o non deve assumere. Un tema ispido, sì, anche interessante, appunto. Ma non è dove voglio arrivare.

Nel momento in cui scrivo questo pezzo sono in pigiama, nel letto. Ieri sera (per me venerdì 3 ottobre 2025, giornata di due scioperi nazionali, uno generale, annunciato già da settimane da S.I. Cobas, e uno indetto mercoledì dai sindacati CGIL e USB contro l’abbordaggio israeliano della Global Sumud Flotilla) sono uscito di casa per bere e quindi stamattina ho anche un po’ mal di testa. Non sono stato in piazza, nei cortei, con tutti quanti. “Non è proprio nel mio stile”, mi sono sempre detto. “Ti rimane solo quello!” avrebbe pensato Ghali di me, fosse al corrente della mia condotta. Ma a me non piace gridare, parlo sempre a voce bassa: mi sono trasferito a Roma da una settimana e la gente mi chiede spesso di ripetere quello che dico perché parlo sempre a voce bassa. Al posto di stare in piazza ho scrollato Instagram, sì. A questo punto – dopo aver ammesso che un po’ mi vergogno del mio comportamento – vorrei invece concentrarmi sui contenuti che mi ha propinato Instagram; e non mi riferisco all’algoritmo, ma proprio alle persone. Molti dei conoscenti che seguo hanno reso esplicita la loro posizione sulla questione. Sulla guerra, sul genocidio, sui bambini, su Gaza, eccetera. Le pagine di informazione e i giornali hanno raccontato la questione. I content creator hanno detto la loro, anche quando non erano tenuti a farlo e, forse, proprio per quel motivo. Diversi artisti hanno preso posizione, chi con un timido sommovimento nei live, chi con papiri sulle stories che per spirito autolesionista ho letto da cima a fondo. Molti di loro, tra le altre cose, hanno fatto notare quanti follower abbiano respinto questo loro gesto “schierato” e li abbiano attaccati con fantomatiche offensive come: “non credevo fossi uno di loro…” o “pensa a fare musica e stai zitto!!!” e compagnia bella.
In questo momento, quando le polarizzazioni, effettive o apparenti che siano, si stanno pericolosamente dilatando, mi viene in mente Tedua che in
Telefonate nel 2016 diceva tipo: “So che siamo nati dalle costole, ma di conseguenza non so / come mai venga l’odio e l’istinto / di far di tutta l’erba un fascio / o cercare il pelo nell’uovo per quello che faccio”. Non ricordo a cosa si riferisse il rapper, ma con lui è sicuramente d’accordo un mio professore di filologia e linguistica romanza il quale parlava della complessità dei fenomeni linguistici appartenenti a un certo sistema linguistico di un certo territorio e sosteneva che, seppur fosse necessario stabilire delle griglie per comprendere meglio questi fenomeni, era anche necessario ricordarsi di quanto ogni singolo fenomeno poteva avere la sua natura convulsa e irrazionale. Resa complessa dal fatto di non essere classificabile in maniera completa, valida e totalmente condivisa dall’insieme degli studiosi. “Poi, qui non si parla solo di linguistica. Vale anche per tutto il resto” aggiunse alla fine della spiegazione.


Perciò, schematizzando in una maniera decisamente poco completa e valida, nell’attuale panorama dell’opinione pubblica italiana, su un polo troviamo una fetta di persone che puntano il dito e accusano a destra e a manca l’appartenenza a pensieri politici vari – tornati decisamente di moda dopo decenni – lamentandosi di non poter vivere normalmente la loro vita a causa delle manifestazioni a favore di un popolo che non è quello italiano.
Sull’altro polo, invece, sta chi vuole farsi sentire e allora scende in piazza, posta, scrive e così via, per le motivazioni le più diverse e naturali, anche contraddittorie forse, ma pur sempre naturali. La cosa che però mi ha colpito di questo polo sta nella fluviale potenza che ha raggiunto: ogni età, ogni genere, ogni nazionalità, ogni colore della pelle, ogni orientamento sessuale, ogni religione, ogni squadra del cuore e ogni simbolo zodiacale. Forse in tutta la mia vita non ho mai visto immagini di piazze così piene. Ho ventidue anni e non avrei mai pensato di vedere quest’Italia mobilitarsi in questa maniera. E al di là di qualsiasi schiera, io mi sento un po’ orgoglioso di un popolo che finalmente prende posizione, scende in piazza, dice la sua per una causa. Lo pensavo più fatiscente, questo popolo. Contento di essermi sbagliato.

Chiudo questo flusso citando l’estratto di un’intervista che un creator che seguo ha postato nelle stories. Il reel (https://www.instagram.com/reel/DPUep4Mjf7B/?igsh=dm50NHg2dzB1OGNh) è della pagina di Radio Delta 1, stazione radio regionale del centro-sud Italia, e dentro si vede questo signore anziano – un certo Giorgio di Ancona, 94 anni – in mezzo a una folla di persone, credo seduto su una sedia a rotelle, forse su quella di un bar, non si capisce, che è paonazzo in viso e ha qualche riga di lacrima che gli corre verso il mento e, con una voce spezzata, ma piena di un entusiasmo vitale dice: “quando l’umanità si ribella di fronte a un genocidio così vuol dire che l’umanità ha incominciato a capire che il mondo bisogna cambiarlo”. Respira, singhiozza, mentre parla. Poi aggiunge: “Io non ci sto per la nazionalità, ci sto per la difesa dell’umanità[…], la difesa dei diritti degli uomini”. “Tutti!” esclama infine slanciando il braccio in orizzontale, come a voler spingere via una persona antipatica in discoteca, quasi irragionevole in un gesto così spontaneo. Tutti, ecco, siamo tutti nati da una costola, lo diceva anche Tedua. Credo che pure Giorgio sia d’accordo con Tedua.

Io invece mi sono alzato dal letto e ho finito questo pezzo, alla fine. Giudicatemi come vi pare, io non sono sceso in piazza e sono stato in silenzio finora, però adesso ho scritto questo pezzo.
Peace, I’m out.