Come ogni 25 Aprile, eccoci qua a difendere questa giornata dagli attacchi di chi, ancora oggi, lo definisce un giorno divisivo. Ma davvero, 82 anni dopo la caduta del fascismo, è così difficile definirsi antifascisti?
Quest’anno, al Festival di Sanremo, a Roberto Vannacci, deputato al Parlamento Europeo per la Lega, è stata posta una domanda semplice: “Lei si definisce antifascista?”. La risposta è stata netta: “No, nella maniera più assoluta. Il fascismo è finito 80 anni fa, è un periodo storico. Come nessuno si definisce antisessantottino, antinapoleonico o antigiacobino, non vedo perché bisogna definirsi antifascisti” (Il Sole 24 Ore, 2025). Non è il solo a pensarla così. Altre importanti figure istituzionali come Ignazio La Russa, attuale presidente del Senato, hanno pubblicamente evitato di definirsi antifascisti (Il Tempo, 2019).
Eppure, forse vale la pena ricordare cos’è stato davvero il fascismo. Secondo l’enciclopedia Treccani, fu un regime dittatoriale instaurato da Mussolini tra il 1922 e il 1943, periodo caratterizzato dalla soppressione delle libertà democratiche, violenza politica, nazionalismo esasperato e controllo autoritario della società. Un modello che ha ispirato regimi totalitari in tutta Europa e oltre: dalla Germania alla Spagna, dal Portogallo alla Romania, fino all’Argentina.
Il fascismo, sì, è un periodo storico, ma i suoi valori, quei valori, non sono morti. Sono stati adattati, riciclati e riproposti ovunque si tenti di soffocare la democrazia. Oggi li vediamo nel regime di Erdogan in Turchia, dove l’opposizione viene incarcerata e le manifestazioni represse nel sangue. Li riconosciamo dell’Ungheria di Orban, che ha cambiato la Costituzione per controllare la magistratura e i media. Li osserviamo nella Russia di Putin, dove la libertà di stampa è ormai un lontano ricordo e chi dissente finisce in carcere o peggio ancora, assassinato. Anche negli Stati Uniti di Trump si vedono segnali inquietanti: studenti arrestati per le proteste pro-Palestina, università minacciate di tagli ai fondi, se non si conformano a nuovi decreti esecutivi contro la cosiddetta “ideologia woke”. Il fascismo non torna con camicie nere e marce su Roma, torna con il controllo dell’educazione, con la repressione del dissenso, con il culto della personalità e il nazionalismo esasperato. Quindi sì, generale Vannacci: il fascismo appartiene a un’epoca storica, ma i suoi echi risuonano nei regimi autoritari di oggi. E proprio per questo essere antifascisti è necessario. Ieri, oggi e domani.
Un’altra falsità che circola con insistenza è che essere antifascisti significhi essere comunisti. Un’accusa tanto superficiale quanto infondata. È vero che le Brigate Garibaldi, legate al Partito Comunista, hanno avuto un ruolo importante nella Resistenza, ma furono solo una parte di un movimento molto più ampio, coordinato dal Comitato di Liberazione Nazionale, che riuniva comunisti, socialisti, democristiani, azionisti, liberali e democratici del lavoro.
Tra i leader della resistenza vi erano sì figure come Palmiro Togliatti, poi segretario del Partito Comunista Italiano, ma anche cattolici come Alcide De Gasperi ed Enrico Mattei, fondatore dell’ENI. Fu grazie a uomini e donne di diverse idee politiche, uniti dall’antifascismo, che nacque la nostra Costituzione, fondata su valori opposti a quelli del regime. Come ricordava Pietro Calamandrei nel suo celebre discorso: “Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati”.
Quest’anno, a causa del funerale di Papa Francesco, è stato imposto lutto nazionale per cinque giorni, ragion per cui è stato richiesto di festeggiare il 25 aprile in maniera “sobria”. In molte città è stato vietato di cantare Bella Ciao. Alla cerimonia delle fosse Ardeatine in tanti stavano intonando il canto, ma Il ministro degli esteri Antonio Tajani si è rifiutato (Ansa, 2025). Bella Ciao, che come riportato da alcune fonti non era nemmeno diffusa durante la Resistenza, deriva da un canto popolare (The Vision, 2019), diventato un inno universale di ribellione e libertà solo dopo il Festival dei Due Mondi di Spoleto del 1964. Bella Ciao è stata cantata durante la Primavera Araba, nelle proteste in Cile contro Piñera, in Piazza Tahrir a Baghdad nel 2020 contro l’influenza di Iran e Stati Uniti e nelle manifestazioni contro Erdoğan nel 2013 (The Vision, 2019). Bella Ciao oggi non è solo il simbolo della Resistenza italiana, ma voce di solidarietà con chi, ancora oggi, vive in condizioni di oppressione.
Da Vanacci, a Ignazio La russia, da Tajani a Giorgia Meloni, forse è il momento di intonare Bella Ciao e di celebrare il 25 aprile, perché se oggi siete alla guida di un governo democratico, è grazie ai partigiani.
È quindi vero che il 25 aprile è una giornata divisiva: perché se non ti riconosci nell’antifascismo, non potrai mai sentirti parte della celebrazione. E se non si è antifascisti, si è fascisti. Non ci sono via di mezzo, o altri modi per dirlo. Quindi sì, festeggiamo il 25 aprile come giorno diviso e accettiamolo con orgoglio. Divisivo dovrà pur essere, se ci divide tra fascisti e antifascisti, tra chi appoggia i governi autocratici di oggi e chi no. A chi ogni giorno difende le libertà, e chi, invece, continua a sopprirmerle lentamente.