“Perchè fare tutta questa fatica? Per il piacere della libertà”

“Il vento contro”, Daniele Cassioli

È una grigia mattinata di novembre. I ragazzi dell’istituto De Amicis sono seduti assonnati e distratti in una sala della Provincia. Io e le mie colleghe, alla nostra prima intervista pubblica, ci chiediamo se riusciremo a mantenere alta la loro attenzione… Ma il compito non è difficile, perché quando entra Daniele Cassioli, che sta presentando il suo libro, Il Vento contro, in giro per l’Italia, gli occhi sono tutti fissi su di lui. È un atleta e fisioterapista, non un giornalista né un insegnante, ma per tutta la mattinata riesce a catturare e incuriosire con le sue storie questi ragazzi.

Nato a Roma il 15 agosto del 1986, Daniele è ventidue volte campione del mondo nella sua disciplina, lo sci nautico.

E’ un atleta paralimpico e un fisioterapista, ma, nonostante una vita già decisamente intensa, ha deciso di riscoprirsi anche scrittore, regalandoci un libro che fa lo slalom tra le sconfitte, delusioni d’amore, successi e la scoperta dell’amicizia, quella vera.

Insomma, tra le pagine de Il vento contro conosciamo un ragazzo con una forza fuori dal comune, ma al tempo stesso incredibilmente normale.

A soli 32 anni, Daniele è stato capace di guardare oltre e rendere possibile l’impossibile. Non vede con gli occhi, ma con il cuore: cieco dalla nascita, ha dovuto cercare un modo alternativo di vedere al di là della superficie e dei pregiudizi, dei limiti e delle critiche di chi ha creduto non ce la facesse, raggiungendo traguardi al di là di ogni aspettativa, distinguendo i colori nel suo buio.  E in quel buio, la sua guida è stata lo sport. Insieme a buona dose di testardaggine e autoironia.

Conoscetelo insieme a noi!

Perché hai scelto di scrivere un libro?

Il libro parte da un’esperienza di qualche tempo fa: mi sono rotto una spalla e mi è stato imposto del tempo libero. In quel momento ho iniziato ad affiancare bambini non vedenti, mi sono reso conto di quanto poso si sappia della cecità, Ho iniziato a pensare e, quando i pensieri sono diventati troppo ingombranti per stare dentro la mia testa, ho iniziato a scrivere. Forse un po’ per gioco. Ho incontrato DeAgostini e a quel punto è nato il progetto. Con loro ho scelto come impostare la copertina, lo stampo che volevo dare al libro. E così è nato Il vento contro.

Il titolo “Il vento contro” può essere interpretato in vari modi. Sia dal punto di vista sportivo che come metafora della vita. Perchè lo hai scelto?

Il vento contro, elemento essenziale nello sci nautico è anche un qualcosa che ci può ostacolare. Per me questo ostacolo è stata la cecità. Di fronte a un limite, possiamo prendere due strade. Possiamo proiettarci in quel che non abbiamo, dimenticandoci di noi, di ciò che abbiamo. Oppure  scegliere una strada che passa attraverso sofferenze, cadute e momenti difficili. Capita a tutti di farsi domande, di chiedersi cosa sarebbe la nostra vita se fossimo più alti, più ricchi, se avessimo altri genitori. Ci proiettiamo in qualcosa che non siamo, in ciò che non abbiamo, pensiamo che, forse saremmo meglio. Ma , come nello sci nautico, la stessa aria che ci frena ci porta in alto e può diventare l’occasione della vita.

Come hai trasformato la cecità da condanna a opportunità?

E’ successo grazie allo sport. Prima ero “Daniele che non vedeva”, “Daniele che non poteva fare alcune cose”. Il bello dello sport in generale è che permette di considerare le persone per quello che sanno fare; chiaramente bisogna allenarsi. Il mio libro parte da una sconfitta, perché è bello imparare dai punti deboli. E’ il modo migliore per crescere. Con l’allenamento, quel cieco che gironzolava sull’acqua è diventato ventidue volte campione del mondo. E’ grazie alle sconfitte che sono arrivato a vincere.

 Ad oggi, se esistesse un intervento capace di darti la vista, lo faresti?

Se vedessi non sarei io, non sarei qui, non avrei scritto  questo libro. Voi sareste in classe a fare storia, quindi diciamo che conviene un po’ a tutti che io non veda (ride, mentre fa passare tra il pubblico il bracciale con la scritta in breille).

Un capitolo del libro è introdotto da una bellissima citazione di Calvino: “Alle volte qualcuno si crede incompleto, ma è soltanto giovane”. E ti chiedi, poi, cosa sia la normalità, sapendo che una risposta definitiva non c’è. Sentirsi diversi, al di là della disabilità fisica, è una sensazione comune a tutti i giovani. A distanza di anni, come spiegheresti al Daniele delle scuole superiori il tema della diversità?

Da piccolino mi sentivo un po’ diverso, me ne sono accorto a scuola. A differenza dei miei compagni, avevo i libri in breille, un “alfabeto di puntini” ed è molto più voluminoso dei libri in nero, alla fine un vostro libro da duecento pagine per me si componeva di 4 o 5 volumi. La mattina non facevo la cartella ma la carriola.

E’ difficile combattere il pregiudizio del diverso, perché fa paura, ma, grazie alla curiosità, si può sapere che dietro la diversità ci sono persone. La diversità è sempre una ricchezza.  Anche nello sport la diversità fa la forza, è alla base della formazione di un gruppo vincente basato sulle competenze di ognuno. E, poi, mi viene in mente il pulmino degli atleti paralimpici: la gente vedeva scendere prima quello in carrozzina, poi quello senza una mano, poi quello cieco… E pensava  “Ma questi qui cosa fanno, vanno a Lourdes?!?!”

Perchè consiglieresti di leggere il tuo libro?

L’idea è quella di abbattere il tabù della disabilità, di “rendere meno ripida la montagna del pregiudizio” Il mio libro parla di tante tematiche, dal dolore di una storia finita alle avventure con gli atleti durante il viaggio in Norvegia. Il bello della lettura è avere un rapporto intimo con noi stessi. E poi ci sono io per autografare le copie, non so scrivere le dediche ma il nome sì e ho anche portato una penna multicolore!

Cosa vorresti dire a questi ragazzi, magari immaginando che tra loro sia seduto il Daniele del liceo?

Tante volte, soprattutto tra i ragazzi, il problema non è la mancanza di talento, ma la paura… La paura di sbagliare, del giudizio, di mettersi in gioco, di deludere qualcuno. La paura impedisce alle persone di esprimersi. Io quando ho iniziato a sciare ho bevuto litri e litri di acqua, prima di imparare quello che so fare. Il mio allenatore diceva che se non si fanno sbagli, non si impara. Non bisogna avere paura di sbagliare.

E’ fondamentale chiedere aiuto, perché è una grande dimostrazione di forza.

Perchè hai scelto proprio lo sci nautico?

Quando io ho iniziato c’erano ancora le cabine telefoniche, nel 1995. Vent’anni fa eravamo considerati degli handicappati, non erano tanti gli sport per disabili. Io ho scelto lo sci, ma anche lo sci ha scelto me.

In quei tre secondi di salto, quando sono da solo, mi viene restituita con gli interessi quella libertà che nella vita di tutti i giorni non ho.

Ciò che colpisce del tuo romanzo, è la spontaneità con cui parli di amicizia e amore. I sentimenti sono universali, ma com’è innamorarsi quando si è ciechi?

Alcune ragazze non si sono sentite di intraprendere una relazione con un cieco. All’inizio è stata dura accettare che la persona con cui stai bene nutra dubbi sul rapporto a causa della mia disabilità. L’importante, alla fine, è volersi bene.

Come immagini il mondo?

Il mondo lo vivi. Siamo portati a pensare che tutto passi attraverso le immagini. Nel libro, c’è un passaggio in cui parlo con una mia ex del concetto del bello. Si vive l’energia di un posto, il mondo passa anche dalle esperienze. Al ritorno da un viaggio, ciascuno di noi racconterà esperienze diverse, il bello è bello perché ci emoziona e le emozioni passano attraverso tutti i sensi. Ciò che si vede non è tutto. E’ come la copertina di un libro. Non perdere la voglia di aprire il libro.

Veniamo alla domanda che più ti sarà stata posta dai vedenti: come sono i tuoi sogni?

E’ il nostro vissuto che forma i sogni. Una persona che è diventata cieca, sogna di riuscire a vedere. Così come chi ha perso una gamba sogna di camminare, di essere in piedi. Non vedere non vuol dire fare sogni diversi. Avevo gli stessi incubi di tutti i ragazzi prima della maturità, perché si sognano le emozioni, le realtà che siamo abituati a vivere.

In un’epoca in cui siamo condizionati dall’immagine, dall’apparenza, quanto conta davvero il primo sguardo?

L’immagine è tanto e fa tanto, ma spesso pensiamo che sia tutto. Dietro c’è sempre una persona, e stiamo perdendo la curiosità del conoscere gli altri. Le nostre consapevolezze sono molto più importanti dell’immagine che diamo.

Grazie a Chiara ed Eliana. E a Daniele, alla professoressa Montemurro e ai suoi splendidi ragazzi, che hanno partecipato con entusiasmo ed educazione all’intervista. Auguro a tutti loro di riuscire a sfruttare il loro vento contrario per volare in alto.