Ci togliamo le scarpe prima di entrare e le posiamo sui ripiani dello scaffale vuoto. Sono le tre del pomeriggio, mancano quaranta minuti alla preghiera e nella moschea non c’è ancora nessuno.

Il tappeto che ricopre il pavimento è morbido e i piedi sprofondano leggermente mentre lo calpestiamo. Sono disegnati degli archi, uno accanto all’altro, tutti rivolti verso La Mecca. Ahmed, presidente dell’Associazione della Comunità Islamica della provincia di Cuneo, sorride mentre ci dice che da qui La Mecca e la Bisalta sono nella stessa direzione.
Ad accompagnarci nella visita insieme a lui ci sono Ayoub e suo figlio.

«La moschea di Cuneo non è solo un luogo di culto ma vuole essere anche un centro di incontro e punto di riferimento per tutta la cittadinanza» ci spiega Ayoub. «Siamo anche un’associazione e in quanto tale organizziamo attività culturali, incontri con le scuole e dialoghi interreligiosi».
La moschea è stata aperta un anno fa, dopo lunghe trafile burocratiche. Prima la comunità mussulmana cuneese, che conta 6 mila persone, era unita tramite l’Associazione della Comunità Islamica della provincia. A causa della mancanza di un concordato tra lo stato italiano e la religione islamica, infatti, l’unico modo possibile per aprire una moschea in Italia è tramite l’associazionismo.

Mentre racconta Ahmed cammina per la sala, ci fa vedere i libri in lingua araba appoggiati su un banchetto in un angolo e ci spiega gli orari delle preghiere, riportati su un cartello.
Si avvicina al mihrab, una nicchia nel muro che indica la direzione della Mecca e in cui si inginocchia l’imam. Accende le luci e gli intarsi bianchi che la circondano si colorano di giallo, azzurro, rosso e verde.

In un angolo, accanto al mihrab, sono appoggiati, una sopra l’altra, alcune copie del Corano.

A distanza di pochi chilometri, in un altro luogo sacro, su una panca di legno sono impilate, nello stesso modo, le copie della Bibbia.

Da via Bersezio ci siamo spostate in contrada Mondovì, nella sinagoga dalla facciata ottocentesca.

Ad aprirci la pesante porta in legno è Sara, si muove a suo agio tra stanze e scale. Ci mostra l’antica scuola ebraica, al primo piano dell’edificio, che conserva i banchi e l’abaco originali.
Al secondo piano si trova il tempio. Il pavimento in legno scricchiola mentre lo calpestiamo, segno del tempo trascorso e simbolo di una storia antica. Alzando lo sguardo si vede il matroneo, a cui si accede tramite un’altra rampa di scale.

Sara ci spiega che la sinagoga è stata costruita nel seicento, posizionata in alto in modo da non dare nell’occhio dall’esterno quando, prima dello statuto Albertino, non era garantita la libertà di culto.
Anche il pulpito, nell’angolo in alto a sinistra, è stato costruito nel tentativo di uniformarsi e confondersi con le chiese.

Sulla parete al fondo della stanza sono riportati in ebraico alcuni nomi. Sara li sfiora con un dito e ne legge alcuni.
«Una volta – ci racconta – la comunità ebraica cuneese era molto numerosa. Oggi siamo una quindicina. Per le funzioni religiose devono esserci sempre dieci uomini adulti e quindi ormai qui celebriamo solo le feste più importanti, come la Chanukkah e il Kippur, quando vengono degli ebrei da Torino e dai paesi vicini».

Anche la comunità ebraica, insieme ad altre associazioni sul territorio, organizza attività con le scuole, in occasione del giorno della memoria ma non solo.

Sara, Ahmed e Ayoub ci hanno portato tra le stanze e le tradizioni di una città multiculturale, che vive e cresce anche grazie alla contaminazione tra religioni.

 

Fotografie di Alessia Actis e testi di Eleonora Numico