
Quante domande ti sei fatto oggi? Io credo di arrivare almeno a duecento solo di questa mattina, tutte nella mia testa, con risposte fittizie e ulteriori dubbi aperti.
E invece, quante domande hai fatto oggi alla tua combriccola? Alle persone a te vicine, quelle con cui “ti fai i viaggi”, con cui ti perdi tra le parole, tra i silenzi e i concetti troppo complicati o astratti per essere racchiusi in poche e semplici frasi.
Ecco, nella redazione di 1000miglia abbiamo deciso che ci piace farci domande, scoprire come i volti, che vediamo durante le riunioni a distanza, vivano quesiti che ci tormentano.
Non è stato facile, decidere che si, forse vogliamo “scoprirci” un po’, renderci un po’ più vulnerabili davanti a questo muro di dubbi che ci troviamo davanti (qualcuno la chiama giovinezza, ma a noi piace pensare che si trattino di dubbi esistenziali).
Per cui siamo partiti da una cosa che ci accomuna più o meno tutti, chi più chi meno; siamo partiti dal territorio che abbiamo condiviso, gli spazi che abbiamo attraversato e che continuiamo ad animare: Cuneo e la sua provincia, i suoi angoli più insospettabili, le collettività più silenziose, circondata dalle montagne che ne custodiscono le tradizioni e limitano le azioni.
Siamo partiti da un dato: le province si stanno spopolando, i giovani preferiscono le grandi città.
Appresa questa informazione ci siamo sentiti divisi. Molti di noi ormai hanno lasciato i paesi della provincia cuneese per sparpagliarsi tra le metropoli italiane ed estere, medie e grandi città a chilometri e chilometri di distanza, ma ancora manteniamo la testa tra questi campi, in queste valli e tra le cime delle montagne (ormai non innevate, maledetto cambiamento climatico; prossima domanda di redazione?). Ci siamo resi conto che una delle poche cose che ci permette di rimanere legati a questo territorio, insieme, è proprio questo piccolo spazio redazionale: come? Perchè? Cosa ci apporta e cosa dà a chi ci sta intorno?
Nel tentare di rispondere a queste mille domande che ci sono venute in mente ne abbiamo formulata una come si deve, di quelle da proporre nelle interviste importanti, per cui: perché è importante portare avanti progetti come 1000miglia e come agisce sulla comunità?
All’ultimo Salone del Libro stavo vagando con una mia amica nel padiglione Oval, quello dei grandi editori che ha anche un bosco dentro, quando ci siamo fermati allo stand di Chora e Will dove un mucchio di gente era accumulata sugli sgabelli e su appoggi di fortuna ad ascoltare in cuffia Vera Gheno. Lei è una linguista. La voce è forte come quella di chi sa cosa dire e come dirla, tesa verso una fruizione degli strumenti della linguistica con l’obiettivo di avere un impatto sulla realtà delle persone. Gheno è convinta che basti un semino inculcato nella testa di chi ci sta intorno, parola o gesto che sia, per riuscire a dare il proprio contributo nel definire gli orizzonti del nostro mondo.
Ecco, vorrei dire lo stesso riguardo a quello che fa 1000Miglia. Siamo pochi, abbiamo poche risorse, ma io credo che il nostro poco possa essere seme buono nel caso in cui anche una sola persona si senta diversa – anche inconsapevolmente – rispetto a com’era prima.
Giacomo
Negli ultimi anni (o forse da sempre?), sempre più giovani lasciano le province per trasferirsi nelle grandi città. Questo esodo silenzioso è dettato spesso dalla mancanza di opportunità lavorative, dalla scarsità di spazi culturali e dalla sensazione diffusa che, per costruire un futuro, serva andare altrove. Le aree interne e i piccoli centri si svuotano, e con le persone se ne vanno anche energie, idee, possibilità. La provincia diventa così, nell’immaginario collettivo, un luogo da cui partire piuttosto che un luogo in cui restare o tornare. Per questo trovo fondamentale portare avanti progetti come 1000miglia. Perché offrono quello che normalmente manca: un tempo e uno spazio dove potersi incontrare davvero. Dove si può parlare di sé senza filtri, costruire relazioni autentiche, riattivare legami, mettere in comune interessi, vissuti e domande. È uno spazio che non è solo “culturale”, nel senso classico del termine, ma profondamente umano. In questi contesti ci si sente visti, accolti. Si ha la sensazione di far parte di qualcosa, e non di essere semplicemente “di passaggio”.
Un altro aspetto che considero importante è che questi progetti non parlano solo a chi partecipa direttamente ma anche a chi guarda da fuori — chi assiste, chi ne sente parlare, chi inciampa in un frammento. Infatti, si entra in contatto con una dimensione diversa del vivere la provincia. Una dimensione spesso invisibile, ma ricchissima, fatta di idee, visioni e relazioni che normalmente restano ai margini del discorso pubblico.
Va riconosciuto che la presenza di spazi istituzionali pensati per i giovani è, di per sé, un valore. Avere luoghi fisici e iniziative promosse da enti pubblici o amministrazioni locali rappresenta un tentativo concreto di contrastare l’isolamento e creare occasioni di socialità. Tuttavia, questi spazi — se sono presenti — spesso risultano frammentati, poco aggiornati rispetto alle reali esigenze del pubblico a cui si rivolgono e costruiti senza un confronto profondo con chi dovrebbe viverli. L’offerta è rigida, legata a modelli consolidati che faticano a rinnovarsi e a dialogare con i linguaggi, i bisogni e le trasformazioni dei fantomatici “giovani d’oggi”. In questi contesti, progetti come 1000miglia si propongono non come una sostituzione, ma come un’aggiunta necessaria: uno spazio aperto, non vincolato da logiche di consumo, capace di accogliere soggettività diverse e costruire senso a partire dall’ascolto e dalla partecipazione. È proprio in questa complementarità che sta la sua forza: non contrapporsi, ma affiancarsi, ampliando le possibilità di espressione, confronto e appartenenza.
Partecipare a progetti come 1000miglia è qualcosa che ci riguarda da vicino. Non solo perché ci offre un’occasione per esprimerci, per sentirci parte di qualcosa, ma anche perché rappresenta una forma di impegno collettivo. Prenderne parte significa contribuire a costruire spazi più aperti, più accessibili, capaci di raggiungere anche chi, per tanti motivi, non si sente rappresentato altrove. È un gesto che fa bene a noi, ma che può fare bene anche agli altri. A volte basta poco per far sentire qualcuno meno solo, meno fuori posto. E forse è proprio da qui che può partire un’idea diversa di provincia: non come luogo da lasciare, ma come terreno fertile per creare nuove possibilità. Per alcuni sarà un modo per restare, per altri potrebbe diventare, un giorno, anche un motivo per tornare.
Alessia
Se da un lato è giusto e necessario viaggiare, sperimentare e allargare le proprie prospettive, dall’altro bisogna anche prendere coscienza che non tutto il mondo è fatto a nostra misura. Capita che la nostra città di appartenenza spesso sia chiusa, bigotta, pigra e che, per questo motivo, molti gio-vani ricerchino la grande metropoli, dove le persone sono meno giudicanti e le opportunità più variegate. Capisco le motivazioni che portano un giovane a trasferirsi in una grande città: ma d’altro canto è nelle piccole comunità, dove molte conquiste non sono ancora scontate, che inventare, costruire, cambiare e comunicare hanno veramente la possibilità di cambiare le cose e di avere effetti visibili sulle persone. È più facile instaurare un dialogo quando si è in pochi, è più formativo dibattere quando vivi in un ambiente che può non pensarla come te, anche se nessuno nega che sia difficile e talvolta demoralizzante; ma abbiamo la grandissima facoltà di costruire attivamente il tessuto sociale delle nostre città. E possiamo farlo attraverso l’associazionismo: per questo credo che una realtà come 1000miglia sia in grado di dialogare efficacemente con il tessuto cittadino, proprio perché si pone a portata di tutti, senza pregiudizi, ma con una grande voglia di aprire e arricchire il nostro tessuto sociale. Trasferirsi in una grande città, dove la società ha già le misure che tu desideri, è confortante, certo. Ma lavorare per far cambiare idea anche solo al tuo vicino di casa, credo sia molto più soddisfacente perché ti dà la misura di come noi possiamo trasformare attivamente la società.
Giulia
In conclusione, 1000miglia si configura come uno spazio di possibilità, un laboratorio collettivo che nasce da una tensione comune: quella tra il desiderio di partire e il bisogno di restare legati alle proprie radici. È un progetto che prende forma a partire da domande genuine, spesso scomode, che trovano nella condivisione – tra amici, redattori, concittadini – un terreno fertile per generare pensiero, comunità e senso.
Le voci raccolte testimoniano posizioni diverse ma complementari: chi è partito e continua a portarsi dentro la provincia cuneese come punto di riferimento affettivo e culturale; chi resta e ogni giorno si confronta con le difficoltà di un territorio che rischia di svuotarsi; chi vede in queste terre un luogo ancora capace di cambiamento, proprio perché più lento, più prossimo, più umano.
1000miglia agisce quindi come un ponte tra le città e la provincia, tra il desiderio di altrove e la cura dell’origine. Non si limita a raccontare, ma genera relazioni, accende riflessioni, produce senso dove spesso il silenzio prende il sopravvento. È uno spazio in cui la cultura non è un fine, ma un mezzo: per vedersi, riconoscersi, costruire legami e – soprattutto, e speriamo – sentirsi meno soli. Nel contesto cuneese, troppo spesso percepito come periferico e immobile, una realtà come questa ha un valore prezioso e quasi raro: è un atto di presenza, un esercizio di immaginazione sociale e un invito a credere che anche nei luoghi “minori” si possa innovare, creare, trasformare. Non con grandi risorse o proclami, ma con il lavoro quotidiano di chi sceglie di esserci, di fare comunità e di dare voce alle domande – e alle possibilità – che ancora resistono.