Gabriele Saluci: il viaggio come ricerca di libertà

“Bazzico nel mondo. Nei viaggi coltivo idee, le idee mi fanno viaggiare”.

Ho i canali social ma non sono un blogger, né un social qualcosa, non sono uno youtuber né niente; non ci riesco proprio. Non mi piace rispettare astruse ed infondate regole. […] Desidero di più vivere e raccontare l’avventura, usare la mia creatività per cucire racconti di viaggio. Vorrei far vedere il più possibile di questo fantastico mondo.

Gabriele Saluci, storyteller, adventurer.

 

Sono venuta a conoscenza della storia di Gabriele per caso: su Facebook, tra le altre notizie, le foto dei suoi viaggi hanno attirato fin da subito la mia attenzione: Giappone, Cina, Islanda, Etiopia.

Incuriosita, ho visitato la sua pagina e ho scoperto le sue avventure incredibili, vissute in giro per il mondo: è riuscito infatti a fare della sua più grande passione il proprio lavoro e non smette di inseguire ogni giorno nuove mete.

Sembra proprio che il suo sia un chiaro esempio di Wanderlust (dal tedesco “gioia di camminare”), gene del viaggiatore.

Ho quindi deciso di fargli qualche domanda, per saperne di più.

E questa è la sua storia.

Quanti anni hai e da dove vieni?

Ho 27 anni e sono nato e cresciuto in Sicilia. A 19 anni ho deciso di andare via di casa per frequentare l’università a Torino, che è stata la mia base per diversi anni. Adesso vivo a Las Palmas, alle Canarie.

Sono un po’ siciliano, un po’ torinese e un po’ canario.

Da dove nasce questa tua “malattia” per i viaggi?                                                                                                              

Ho avuto la fortuna di avere dei genitori insegnanti, per cui avevamo a disposizione ogni anno tutto il mese di agosto. Hanno deciso di sfruttare questo tempo libero per viaggiare in camper e così per 18 anni sono stato “sbattacchiato” per tutta l’Europa. Abbiamo macinato centinaia di migliaia di chilometri in decine di paesi diversi.

A un certo punto è arrivato il momento di lasciare i viaggi in famiglia e di buttarmi in avventure tutte mie: da 6 anni ormai vivo in giro per il mondo.

Adesso per me il viaggio, oltre a essere un bisogno e parte del codice genetico, è diventato uno stile di vita.

 

Come sei riuscito a trasformare la tua passione in un lavoro?

Questa è stata la parte più difficile, anche se col tempo tutti i pezzi che ho raccolto si sono messi a posto, quasi da soli.
È anche una domanda che tanti mi fanno ogni giorno: come essere pagati per viaggiare? La risposta è semplice: nessuno ti paga per viaggiare. Nei primi anni bisogna essere pronti a sacrificare moltissimo tempo e denaro. Diventare viaggiatori in effetti non è molto diverso dall’aprire un pub, solo che invece di investire in un nuovo frigo o nel bancone, si investe in esperienze, crescita personale e in capacità lavorative. Se la passione dura nel tempo e si trova il proprio equilibrio le cose vanno avanti. Quello che ho visto io è che tutti quelli che hanno iniziato con l’obiettivo di viaggiare gratis non sono arrivati da nessuna parte.
Ovviamente per farlo diventare un lavoro bisogna offrire qualcosa. Il mio consiste nel raccontare i viaggi e il mondo attraverso i video. Fin dalle prime avventure ho capito che bisogna trovare una propria strada e un proprio stile: certo, non si è mai da soli in questa specie di gara, ma quello che ti fa andare avanti è cercare di dare sempre il massimo in quello che si fa, mettendo a disposizione tutta quanta la propria passione.
Ogni anno è diverso quindi non penso che avrò mai il posto fisso, e di questo sono contento. Negli anni passati ho lavorato tanto per clienti molto conosciuti su internet, adesso lavoro per Rai3 con una parte di programma tutta mia al Kilimangiaro, l’anno prossimo chissà… ed è questo il bello.


E vivere in giro per il mondo come ha reso la tua vita?

Ogni progetto, ogni viaggio lascia qualcosa. Sicuramente si cresce tanto, ma si capisce anche che per comprendere come funziona veramente il mondo ci vogliono decenni passati a viaggiare, una curiosità infinita e tanta pazienza perché quando inizi a capire come funziona la faccenda, quel momento non è altro che l’inizio del percorso.

Studiare, leggere e informarsi sono fondamentali. Lo strumento del mestiere del viaggiatore è l’istruzione: è necessario avere degli attrezzi per capire il mondo, o per essere all’altezza nel mondo del lavoro. L’Università italiana ha tante cose che non vanno, ma sicuramente è un importante passo da compiere – soprattutto se fatta con cognizione di causa – per la propria carriera, che sia di viaggiatore o altro.

Come vivi questa “ricerca di libertà”?

Devo dire che riuscire quasi sempre a fare quello che si vuole è una delle cose più belle che si possano fare nella vita. Decidere quando, quanto e con chi lavorare, stabilire i propri tempi e assecondare la propria creatività è la ricchezza più grande. Sono stato fortunato ad averlo intuito prima di fini. Certo, lavoro tanto anche io, ma proprio perché so che ogni lavoro mi migliora è come se fosse tutto tempo dedicato a me stesso.

Ultimamente prendo troppi aerei, in questo mese sono già a quota quattordici voli.

In questo momento scrivo in aereo: ogni dieci cose belle di questo lavoro ce n’è una un po’ scomoda, ma ci si adatta.

Come ci si adatta a non avere una casa dove tenere le proprie cose e a traslocare ogni sei mesi!

Lost in translation

Per quanto ci piaccia distinguerci dagli altri, sentirci individui ed esaltare l’espressione, la libertà e le esperienze che sono uniche per ognuno di noi, siamo tutti fatti della stessa pasta. Ridiamo e piangiamo allo stesso modo, impariamo parole e poi le dimentichiamo, incontriamo persone provenienti da luoghi e culture diversi dai nostri. La lingua ci avvolge con i suoi significati e la sua punteggiatura, spingendoci a varcare i confini e aiutandoci a capire le domande più complicate che la vita ci pone senza sosta.

Questo è ciò che ha fatto Ella Frances Sanders nel suo libro Lost in translation: cinquanta parole intraducibili dal mondo:   Spero che questo libro vi aiuti a trovare alcune parti di voi stessi perdute nel tempo, che faccia riemergere ricordi piacevoli o permetta di tradurre in parole pensieri e sensazioni che non eravate mai riusciti a esprimere con chiarezza.

Avete mai visto boketto negli occhi di un uomo seduto in riva all’oceano o il resfeber che ha invaso il cuore di amici che si accingono a fare un viaggio dall’altra parte del mondo, verso una cultura sconosciuta? Ecco dunque un assaggio di parole che, chissà, potrebbero rispondere a domande che non sapevate di voler porre, o magari alcune che avete già posto.

Avanti, quindi, perdetevi nella traduzione!

Mångata, Svedese, sostantivo

La scia luminosa della luna che si riflette sull’acqua.

Forse non si fa più molto caso a questi attimi poetici e splendenti, ma il riflesso tremolante della luna, di notte, sull’acqua scura del mare, è senza dubbio uno spettacolo mozzafiato.

Gezellig, Olandese, aggettivo

Molto più che accogliente o piacevole: descrive il senso di intimità, calda e rigenerante, non necessariamente fisica, che si prova stando con le persone care.

Include tutto ciò che fa sentire davvero accolti, come un’atmosfera familiare, una bella conversazione, gli abbracci.

Meraki, Greco, verbo

Fare qualcosa con tutto te stesso: con passione, creatività e amore.

Se ci metti tutto te stesso, il risultato sarà eccezionale. Il concetto di meraki è chiaramente frutto della cultura greca, che esalta la passione guidata dalla ragione e il piacere delle piccole cose.

Pisan Zapra, Malese, sostantivo

Il tempo necessario per mangiare una banana.

Fika, Svedese, verbo

Trovarsi per un caffè, e un dolcetto magari, per prendersi una pausa e chiacchierare, in ufficio, a casa o in un locale; a volte si prolunga per ore.

La combinazione di caffè e chiacchiere è ottimale: spesso favorisce scambi, idee brillanti e colpi di genio a base di caffeina

Vacilar, Spagnolo, verbo

Viaggiare per il gusto di farlo più che per la meta.

Non sai bene dove andare? Perfetto! Dimenticati di cartina e programmi e lasciati guidare dal cuore.

Wabi-sabi, Giapponese, sostantivo

Bellezza dell’imperfezione, dell’eterno fluire delle cose.

Tratto dagli insegnamenti buddisti, questo principio dell’estetica giapponese si basa sulla ricerca del bello nelle imperfezioni e nell’incompletezza. Accettare la nostra transitorietà e l’asimmetria nelle nostre vite può guidarci verso un’esistenza semplice, ma più appagante.

Forelsket, Norvegese, sostantivo

L’indescrivibile euforia che provi quando ti stai innamorando.

Forse non l’hai ancora provato, o forse ti è già capitato molte volte. Le ricerche dimostrano che il forelsket è più frequente quando mostri apertamente i tuoi sentimenti.

Luftmensch, Yiddish, sostantivo

Vuol dire sognatore, letteralmente ‘l’uomo dell’aria’.

Hai la testa fra le nuvole e non hai nessuna intenzione di scendere sulla terra. Vivi nel mondo dei sogni: lontano dalla realtà, vicino all’irrealizzabile.

E se una sola parola ti permettesse di fare il giro del mondo?

Midnight in Paris

Lasciatevi trasportare nella magica atmosfera di Parigi sulle note di “Si tu vois ma mère”. Sarà come annusare l’aria romantica e sbarazzina della città che ha ispirato e attratto da sempre gli artisti e gli innamorati di tutto il mondo. Ogni suo angolo, ogni suo ponte, ogni suo monumento è stato celebrato come una donna amata alla follia.

Non è una città tra tante, ma una città che entra nell’animo di chi la vive.

Dimmitè: l’essenza di Londra in un tè..

Che ne direste di un buon tè caldo? Allora sedetevi e godetevi l’attesa di infusione immergendovi nelle streets di Londra. Saranno sufficienti 5 minuti. Dopo tutto un tè migliora in compagnia di una lettura.

(Inizia ora l’infusione)

“Non c’è nessun altro posto come Londra. Niente di niente, da nessuna parte.”
(Vivienne Westwood)

Strade affollate di pendolari, clacson che suonano, taxi che sfrecciano, bus rossi a due piani, poliziotti a cavallo, antico e nuovo che si mescolano in un connubio a formare una delle città più belle di tutta Europa: Londra.

Il Big Ben segna lo scorrere del tempo ma la città sembra assorta in una propria dimensione, come sospesa. Attraversata dal Tamigi, si snoda lungo le sue rive. Il celebre London Eye permette ai turisti più coraggiosi di lasciarsi trasportare a ben 135 metri di altezza, per poter osservare la City in tutta la sua bellezza. Soprattutto la sera, momento in cui tutti i palazzi più importanti vengono illuminati: dal Westminster Palace, in origine residenza del re inglese, a Buckingham Palace, dove è possibile assistere al celebre cambio della guardia. Per non dimenticare la National Gallery, il British Museum o la Tate Modern, in cui sono racchiuse alcune delle opere più famose di numerosissimi artisti mondiali, del presente e del passato.

Londra è anche la città dei graffiti, degli scarabocchi, dell’arte, e si può vedere un po’ ovunque, dal quartiere alternativo di Camden allo Skating Park. Quando il tutto si mescola insieme però, vuol dire che ci troviamo di fronte ad un capolavoro di Banksy, uno degli artisti più affezionati a questa metropoli europea.

Londra è una delle città più multietniche del mondo e ciò fa sì che uno dei piaceri del mangiare fuori sia l’ampiezza della scelta culinaria: la cucina indiana è ampiamente diffusa ma anche quelle asiatiche (cinese, thailandese, giapponese, coreana) oltre alle tradizionali cucine gastronomiche dell’Europa continentale.

Nessuna città presenta una così disordinata varietà di forme, una così capricciosa mescolanza di bello, di brutto, di magnifico, di povero, di triste, di strano, di grande, di uggioso.” (Edmondo de Amicis)

Grazie all’ampia rete di collegamento della Tube (Metropolitana londinese), si possono raggiungere i luoghi principali in pochi minuti, e, nell’attesa, potrai ascoltare alcuni tra i migliori street artists internazionali.

Da non perdere è un tour lungo il mercato di Portobello Road, che si snoda per circa 800 metri, caratterizzato da negozi di vintage e stand d’antiquariato. Come anche Camden Market, uno dei mercatini più conosciuti al mondo: migliaia di bancarelle si assommano formando un chiassoso labirinto nel quale è bello perdersi.

Per una pausa rilassante, perché non fermarsi in uno dei caratteristici pub che abitano la città?

E quando la giornata sta per finire, cerca il riflesso della città al tramonto in una tazza di tè inglese, naturalmente alle cinque: “Esso è tenuto in così tanta considerazione che chiunque intraprenda un viaggio ne porta un po’ con sé.”

(L’infuso è pronto!)

Venezia: due volti, due racconti

Scendo dal pullman, ancora con la pelle d’oca di chi è stato tanto al fresco della climatizzazione. Il primo respiro è una liberazione: quell’aria nuova, che sa di mare, con il sole ancora basso ma caloroso del mattino che illumina Venezia.

Ho viaggiato tutta la notte ed ora eccomi: disorientato, ancora strizzo gli occhi alla luce, sbadiglio qua e là per risvegliare i sensi. Un passo alla volta sgranchisco la schiena e guardo i gabbiani che volano alti nel cielo.

Adesso, guardandomi incuriosito attorno, noto quelli che una volta scesi,con passo sicuro, si avviano svelti verso la città. Li seguo, lasciando intuire ad altri la direzione più veloce. Alla vista di ponti e canali, come dipinti con colori caldi e rasserenanti, capisco che la fretta è l’ultima cosa da contemplare. Come impaurito, rallento gradualmente il passo, sento le gambe pesanti, il respiro alterato, gli occhi spalancati e vispi.

Mi lascio superare da chi avevo preceduto.

Riprendo la camminata, come attratto dal ponte che porta alla stazione. Sulla sua sommità si scorge la grandezza della città, attraversata dal Canal Grande, già popolato dai vaporetti e motoscafi.

Proseguo lungo le sue sponde, fiancheggiato da palazzi settecenteschi, ormai rimodernati che aprono le loro fondamenta ai vicoli che si districano in modo labirintico verso l’interno.

Guardo quel canale con il gondoliere che naviga spensierato tra palazzi che come temporanee manifestazioni dell’esistenza umana dividono a confine due infiniti blu, evitando che ne esista solo uno.

Il flusso di turisti scorre più impetuoso dell’acqua nel canale, che scarica ,come naturalmente farebbe, parte di sé nei canaletti. Allo stesso modo fanno i più audaci, che fuggono la massa per perdersi.

Quindi svolto a sinistra in un calle, un vicoletto lungo e stretto nel quale si forma un curioso contrasto luminoso; alla fine di esso un bivio: lo affronto con smarrita indifferenza. Con la cartina ripiegata in tasca, vago tra intricati spazi, incapaci di ripetersi, tra giochi di luce, ponti, pendolari, l’aria mattutina.

Immagino la quotidianità vissuta tra quelle vie, come un veneziano che ancora dopo tanti anni si stupisce per bellezza.

L’aria della sera è frizzante. La sensazione di fresco sulla pelle ti fa sentire vivo, è piacevole.

Alzo lo sguardo e sopra di me si stende una coperta luminosa di stelle in un mare di un blu inchiostro. Mi trovo in una piccola via di Venezia, lontano dai lampioni e da qualsiasi altra fonte luminosa. Posso godermi questo silenzio, dentro e fuori di me.

Dopo pochi istanti, esce dal locale in cui abbiamo cenato anche il resto della mia famiglia. Lo sbalzo termico dentro-fuori si fa sentire e sono tutti infreddoliti. Sorrido tra me e me.

Decidiamo di continuare a godere di questa serata, per poter conoscere la città dai mille vicoli anche nelle vesti della notte. Ci facciamo guidare da alcune voci in lontananza, senza sapere di preciso dove arriveremo. Alcune finestre sono illuminate dall’interno ed è possibile scorgere qualche elemento delle case. In particolare mi colpisce un lampadario: la luce crea sulla sua superficie di vetro un gioco di colori ipnotizzante. Mi ricorda il lontano Oriente.

Ci ritroviamo così su una delle vie principali. La massa di persone vocianti ti spinge a proseguire in un’unica direzione possibile e tu sei preda del loro passo. Ristoranti, bar, locali, musica… Il silenzio dei calli viene bruscamente investito dalla vita notturna che popola la via.

Alla fine di questa, si apre davanti a noi la maestosa Piazza San Marco. Da lontano, i suoi porticati illuminati come a festa risuonano del ritmo di un’ orchestra jazz.

La mia attenzione è attirata fin da subito verso il basso: stiamo infatti proseguendo su passerelle rialzate. Il pavimento è stato quasi completamente invaso dall’acqua del mare e per spostarsi questo è l’unico mezzo.

Questa città è piena di sorprese.

Dopo aver scattato qualche fotografia, ci allontaniamo dal caos di persone e ci dirigiamo verso il Canal Grande, lì vicino.

Nonostante l’ora piuttosto tarda, è ancora solcato da numerosi vaporetti e gondole. Illuminati, appaiono come piccole lucciole sul pelo dell’acqua. In cielo splende la luna piena, investendo con i suoi raggi l’intera città.

Così disposte ai due lati del canale, le abitazioni fanno pensare a luoghi naturali, ma di una natura che ha creato le proprie opere con un’immagine umana.

Quanto è bella Venezia.

Me l’assaporo chiudendo gli occhi: e ‘l naufragar m’è dolce in questo mar.

testo scritto in collaborazione con Gabriele Risso.

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