Visionary days 2018: tutto sarà solo umano?

Il primo dicembre 2018 presso le ex officine di Torino si è tenuto il “Visionary Days”, un evento culturale che univa più discipline e scienze ad un solo fine comune: “scrivere il futuro”. A farlo erano ottocento ragazzi di età differenti, con studi disparati e vissuti diversi. Il fine ultimo era redigere un live book che sarebbe diventato poi cartaceo con la sintesi di ciò che prima era stato pensato e discusso ai tavoli.

Nella sala Fucine la disposizione era tale per cui al centro vi era il palco sul quale avvenivano i così detti “talks” ovvero disquisizioni scientifiche e non, tenute da protagonisti del presente e del futuro sulla loro idea visionaria. Tutto intorno, settanta tavoli rotondi affollati dai partecipanti: ottocento giovani arrivati da diverse parti d’Italia uniti dalla voglia di voler far parte di un futuro che lontano o vicino sarà comunque diverso dal passato. Lo smistamento ai tavoli è stato fatto affinchè persone con percorsi di studi, età e esperienze diverse potessero collidersi generando idee innovative, progetti, pensieri, opinioni. Infine, in fondo alla sala, la redazione: dieci umani e un’intelligenza artificiale che provavano a trasformare l’intero materiale in un libro fisico da stampare e distribuire al termine dell’evento, il cosiddetto “live book”.

Dopo i saluti del rettore del politecnico di Torino ed altri enti che hanno supportato il progetto è incominciata la giornata.

Il primo talk è stato tenuto da Simone Ungaro, co-founder di Movendo Technology ed ex direttore generale dell’istituto italiano di tecnologia. La tematica principale era il corpo in chiave di Rehab o riabilitazione fisica. Sottolineava Ungaro quanto le macchine possano aiutarci in questo ambito per aumentare la qualità di vita. Nel suo eloquio ha ribadito più volte che spesso è la paura umana a bloccare l’innovazione: secondo lui infatti i robot non sono una minaccia ma un beneficio per l’uomo. Sul palco ha dunque presentato la macchina che lui e il suo team hanno messo in funzione capace di svolgere un lavoro simile a quello di un fisioterapista. La “Rehab Technologies” autrice di un esoscheletro per soggetti impossibilitati all’uso delle gambe andando a mobilizzare tutte le parti del corpo dalla caviglia al ginocchio riesce a creare una personalizzazione del trattamento di cura. Un’altra sfida che ha lanciato Ungaro è quella del poter predire l’infortunio attraverso un algoritmo che studi la biomeccanica umana, fornendo al soggetto in tempo reale il rischio di perdita dell’equilibrio. Molte altre sono le domande lanciate da Ungaro: ai tavoli infatti si parlava di quanto l’uomo potesse spingersi a  lasciare questo compito alle macchine e quanto fosse giusto il suo eclissarsi a ruoli più formali.

Nel secondo talk invece è salita sul palco Anna Cereseto, direttrice del laboratorio di Virologia molecolare del Cibio. Anna si occupa di genoma editig e di modifica del DNA attraverso la forbice molecolare presente nello yogurt. Il lavoro in laboratorio consiste nel rilevare questa “forbice” e portarla su cellule complesse di un mammifero per arrivare a modificarne la struttura del DNA. Questo metodo può essere utilizzato sia per evitare alcune malattie sia per modificare un giorno le nostre caratteristiche fisiche a nostro piacimento. Quando è stata lasciata la parola ai tavoli, la domanda più frequente è stata: “Quanto è giusto poter scegliere la propria immagine, le proprie caratteristiche fisiche? Questo porterà all’eliminazione di alcune diversità?”

Il terzo talk è stato tenuto da Stefano Galli, capo della divisione Sprint reply focalizzata nello sviluppo RPA. Si è finalmente affrontato il tema dell’intelligenza artificiale e della memoria. Galli ha parlato di una memoria di due tipi, una per ricordo e una per abitudine, e ha concluso dicendo che la memoria non è solamente e meramente la somma dei ricordi esattamente come nella memoria artificiale non è solo la somma dei file. Le macchine infatti dispongono di reti neurali che possiamo paragonare ai nostri neuroni e dettano l’esperienza. Ma se anche l’esperienza può essere trasferita ad una macchina che ne fa la somma sintetizzandola possiamo trasferivi anche coscienza, anima e essere?

Durante il quarto talk, invece, il “Visionary Days” ha preso una piega più filosofica. A parlare era Andrea Pezzi, conduttore e imprenditore televisivo italiano, docente internazionale di scienze umanistiche e comunicazione. Con lui si è parlato di cosa crei il visibile, il tangibile, e la risposta è stata l’invisibile ovvero il pensiero umano. Si è parlato anche di differenza fra robot e uomo, il primo un programma, il secondo un progetto. Il primo cresce e si sviluppa secondo un corso naturale mentre il secondo non è altro che il susseguirsi di una scaletta. Cosa significa fare filosofia oggi? Secondo Pezzi significa un ritorno alle attività intellettuali da parte dell’uomo mentre un lavoro più pratico da parte delle macchine.

Alla fine dei quattro talks vi sono stati ancora due interventi da parte del presentatore della giornata, Andrea Daniele Signorelli, e di Marco Savini, fondatore di Big Rock, che ha concluso la giornata lanciando un messaggio universale: “Siate dei visionari in qualsiasi vostro ambito”. Ed è questo il messaggio lanciato dalla giornata stessa: conoscere il passato ma saper anche vedere oltre. Chissà se questo evento in futuro possa essere organizzato anche nel Cuneese.

L’immagine è tratta da https://www.facebook.com/visionarydays/.

 

Il viaggio secondo Cuneo fotografia

Dal 19 ottobre al 4 novembre al Palazzo Santa Croce si è tenuta una mostra decisamente mistica e arricchente, curata da Cuneo Fotografia.

Il viaggio era la tematica della mostra; essa era organizzata in più sale e ciascuna rappresentava un continente con una lunga serie di fotografie dei soci e fotografi di Cuneo Fotografia.

L’idea della mostra è nata al compimento del diciottesimo anno dell’associazione e ciò che volevano raccontare erano tante piccole o grandi storie di viaggio dove il singolo entra in contatto con l’ignoto attraverso il corpo macchina e l’obbiettivo per  imprime un ricordo, un’emozione. 

Si passa dalla fotografia di strada alla ritrattistica, dalla  fotografia naturalistica al reportage documentario con tecniche fotografiche e stili  differenti, proprio perché i fotografi sono tanti e diversi.

Alcune fotografie addirittura sono state scattate con il cellulare e con pochi ritocchi in post produzione: questo perché secondo alcuni fotografi dell’associazione non è necessario un grande equipaggiamento fotografico, ma piuttosto la cura della composizione.

La prima sala è interamente dedicata all’Europa. Si possono trovare fotografie scattate a Parigi sotto la torre Eiffel. Questa fotografia, in particolare, ha una precisa angolazione e prospettiva per la quale non vi è la classica regola dei terzi, ma piuttosto segue “linee di forza” create appunto dalla struttura della torre stessa. Altre fotografie sempre riguardanti il continente europeo sono state scattate a Budapest, in Bretagna, a Nizza ma anche nella più vicina Torino o in Liguria.

Un altro continente che lascia senza fiato è quello africano, dove le fotografie raffigurano dune e volti di persone. Una fra le più particolari riesce a catturare un uomo sulla sabbia del deserto in cui sia la sabbia stessa che la tunica del soggetto si lasciano trasportare dal vento.

Per quanto riguarda il continente Americano sono l’Argentina, la California, il Cile e Cuba i luoghi più immortalati. 

In alcune fotografie sono proprio gli ambienti naturalistici; in altri casi i volti delle persone del luogo spesso raccolte in appositi collage.

Molte delle opere esposte sono state vendute, precedentemente stampate dal laboratorio Imprimere e credo che questo ribadisca il successo della mostra.

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