“Un canto d’amore per la Terra e un monito per gli uomini”

 

Un giaguaro che mentre si abbevera ad un corso d’acqua lancia di rimando all’osservatore uno sguardo attento, maestoso ma mansueto, come un sovrano buono. La zampa squamata di un’iguana che brilla come la corazza di un guerriero medievale. Due giovani etiopi che offrono il loro volto in cui spicca, nel rispetto delle pratiche tradizionali, un grande disco labiale. Una sconfinata distesa di ghiaccio sulla quale marciano centinaia di pinguini che si rimpiccioliscono progressivamente, fino a diventare quasi formiche, grazie al gioco prospettico. Sono queste alcune delle più di duecento fenomenali immagini che compongono Genesi, l’ultimo lavoro del fotografo di origine brasiliana Sebastião Salgado, in esposizione dal 22 marzo al 16 settembre 2018 a Torino presso la Reggia di Venaria. La mostra raccoglie fotografie di animali in via di estinzione e non, uomini di tribù indigene e paesaggi mozzafiato in un itinerario suddiviso in cinque sezioni: “Il Pianeta Sud”, cioè l’Antartide con i suoi ghiacciai, “I Santuari della Natura” ovvero le isole culla della biodiversità, “l’Africa” e i suoi deserti, il “Il grande Nord” con la taiga dell’Alaska, e “L’Amazzonia e il Pantanàl”, polmone verde della Terra. Le immagini sono affiancate da accurate descrizioni ricche di preziose informazioni scientifiche e antropologiche.

Anche gli amanti della fotografia a colori si troveranno rapiti da un bianco e nero che lega tutte le immagini come pagine di un’unica grande storia e che rende ogni dettaglio, dalla pelle coriacea dei caimani del Pantanàl alla finissima grana delle dune del deserto algerino, palpabile. Un bianco e nero che contribuisce inoltre a sottolineare le solennità dei soggetti immortalati dall’occhio attento e rispettoso, mai invadente, dell’autore; i capolavori di Salgado non sono infatti solo dotati di grande perfezione formale ma racchiudono un contenuto che potrebbe dirsi quasi morale. E davanti ad ogni soggetto immortalato si ha realmente la sensazione di essere al cospetto di qualcosa di biblico e primordiale.

Il progetto che ha portato alla creazione di questo lavoro nasce infatti dalla volontà di ritrovare e consacrare per sempre in un’immagine ciò che, come spiega lo stesso Salgado, è rimasto “esattamente come nel giorno della Genesi” (inaspettatamente, circa la metà del pianeta). Un canto d’amore per ciò che è scampato dall’abbraccio soffocante di uno sviluppo insostenibile, ma anche un’esortazione alla sua conservazione e salvaguardia, a fare un passo indietro. Una richiesta d’aiuto alla quale Salgado si è impegnato in prima persona a rispondere concretamente: su suggerimento della moglie Lélia ha avviato a partire dagli anni novanta un ambizioso progetto di riforestazione nel sud-est del Brasile, attraverso l’organizzazione no-profit Instituto Terra, che ha come obiettivo il ripristino dell’ecosistema, a cui si affiancano programmi di ricerca scientifica, educazione ambientale e sensibilizzazione (www.institutoterra.org ).

Genesi è il risultato di un viaggio durato dieci anni che ha portato il fotografo in trentadue diverse destinazioni, comprendendo molte tappe prive di “strade” intese nella concezione moderna del termine: Salgado ha ad esempio attraversato l’Etiopia a piedi, per un totale di circa 80 giorni di cammino. Questo progetto segna il suo passaggio da un approccio più umanitario a uno naturalistico, senza però rinunciare, come si è detto, ad una fotografia- reportage con finalità attiva, di monito ed esortazione. Il fotografo, economista di formazione, ha in passato documentato fra le altre cose la siccità del Sahel, l’incendio dei pozzi petroliferi ordinato da Gheddafi alla fine della Guerra del Golfo, le condizioni lavorative nei settori di base della produzione, da cui è risultata la monumentale pubblicazione di 400 pagine La mano dell’uomo, (Contrasto, 1994), per poi passare all’umanità in movimento; migranti profughi e rifugiati di tutto il mondo, i cui ritratti sono raccolti in due libri di grande successo: In cammino e Ritratti di bambini in cammino (Contrasto, 2000).

Ma lo stretto e prolungato contatto empatico con il dolore e la violenza ha portato Salgado ad ammalarsi: è in particolare il periodo passato a documentare il genocidio in Ruanda, che lo ha trascinato in uno stato depressivo sfociato in una sofferenza fisica, spingendolo addirittura a dichiarare di voler smettere il suo lavoro. Nonostante tutto questo non è accaduto, e dopo un periodo di tranquillità e ripresa ha intrapreso il viaggio del quale Genesi è il frutto. Una mostra da non perdere, carica di stupefacente bellezza formale e ricca di contenuti, di un grande artista che così spiega il suo lavoro in un’intervista a Benedikt Taschen: “La fotografia è una sorta di fenomeno: […] c’è un legame tra i soggetti e la fotocamera e tu diventi parte di questo sistema. Ogni elemento concorre al risultato e tu arrivi al massimo quando sai che non puoi ottenere un’immagine migliore. Cresci insieme al fenomeno, sei parte del fenomeno, e “vieni fuori” da quello. È un piacere immenso fotografare.”