20 Marzo 2025 | Perdersi tra gli schermi
Mickey 17 segna il ritorno sul grande schermo del grande regista coreano sette anni dopo il successo di Parasite. È un film che, nonostante il tono apparentemente scanzonato e a tratti comico, mette in evidenza il cinismo e l’egoismo di una società al collasso, che vede nel colonialismo interplanetario l’unica soluzione ai propri problemi. Catalizzatore di questo sentimento anti-terrestre è Kenneth Marshall (Mark Ruffalo), politico cialtrone ma tirannico, burattino nelle mani della moglie Qwen (Toni Collette). Vittima della loro utopia colonialista è il “sacrificabile” Mickey (Robert Pattinson). Ladruncolo in fuga dai suoi strozzini, Mickey è raffigurato come una creatura inetta e parassitaria all’interno della società capitalista, che, d’altro canto ha l’esigenza di inquadrarlo in una funzione produttiva. Entra qui in gioco Kenneth Marshall, che gli propone di lavorare come cavia per un esperimento estremo: sul nuovo pianeta Niflheim, dovrà sacrificare la propria vita per il progresso umano qualora sarà necessario, mentre la sua memoria verrà re-impiantata in un corpo stampato in 3D, in modo da tenerlo in vita, pur in un corpo artificiale. Mickey viene ucciso nelle maniere più brutali per poi venire “ristampato” 17 volte: ma finché la crudeltà è per amor di scienza, tutto sembra concesso. Al tema del colonialismo subentra quello della clonazione e del difficile equilibrio tra l’etica e la scienza. Il regista non sembra concentrarsi tanto su una presunta “sacralità” del corpo umano: ormai, con le nuove tecnologie, il corpo diventa un oggetto replicabile, che nelle mani di uno scienziato-artigiano può essere aggiustato senza problemi. Le domande sono altre: fino a che punto la scienza può sopravvivere senza etica? E fino a che punto l’uomo può spingersi senza incontrare resistenza da parte dell’equilibrio naturale?
A queste domande, si danno diverse risposte: all’interno del film, l’etica viene ristabilita grazie alla pietà di Nasha (Naomi Ackie), compagna di Mickey, che, sebbene non contesti la visione positivista di Kenneth e del gruppo di neo-colonialisti, arriva a un punto di rottura quando la coppia di tiranni impongono a Mickey la sofferenza e il sacrificio in maniera gratuita e ingiustificata. In questo senso, Nasha si pone come mediatrice: da un lato, la sua figura esalta l’etica personale e la pietà rispetto alla crudeltà dei tiranni, dall’altro propone un nuovo tipo di colonialismo, basato sul rispetto dello stato di natura. Alla fine del film è infatti Nasha che consente lo sbarco degli esseri umani su Niflheim, non dopo aver difeso gli striscianti, esseri autoctoni simili ai tardigradi, dal genocidio pianificato dai tiranni Kenneth e Qwen.
Proprio loro, alla fine, vengono riconosciuti come i veri parassiti della società. Il mezzo con cui avviene questo riconoscimento è il cibo, da cui entrambi sono ossessionati: Kenneth nel mangiarlo, Qwen nel crearlo tramite sadici esperimenti culinari. È particolare come la regia catturi spesso Kenneth dal basso verso l’alto: la mascella alzata e la posa volitiva alludono perfettamente alla rappresentazione classica di Hitler e Mussolini, ma la cialtroneria, l’ignoranza e una certa inadeguatezza rispetto al contesto sembrano alludere a Donald Trump.
Alla fine, Mickey e Nasha riescono a sconfiggere i cattivi: quasi come in una sorta di deposizione dell’imperatore, sono i soldati stessi che si rivoltano contro la coppia di tiranni, riconoscendone la crudeltà. Allo stesso tempo, viene ristabilito l’equilibrio tra uomo e natura e la stampante di corpi umani, simbolo di quell’equilibrio infranto, viene distrutta. Il finale è dunque utopico: ristabilito l’equilibrio tra l’uomo e la natura e tra l’uomo e la scienza, il progresso dell’umanità può ripartire.
Alle problematiche estremamente attuali (e a tratti anche perturbanti nella loro violenza), dunque, viene dato un finale forzatamente rassicurante. Naturalmente, non si può chiedere a un film fantascientifico di risolvere queste problematiche, anche perché, se ci avesse provato, si sarebbe persa tutta la verve comicamente grottesca del film. Tutto sommato, Bong Jong-Hoo è riuscito a girare un film godibile e divertente, con un cast eccezionale (Robert Pattinson si conferma uno dei migliori attori della sua generazione), ma che non dimentica di far riflettere lo spettatore su certe tematiche d’attualità.
29 Gennaio 2025 | Perdersi tra gli schermi
In Italia, il 2025 si apre con un horror d’autore, figlio diretto del Nosferatu di Murnau. Il filone cinematografico inaugurato nel 1922, segue, con più o meno variazioni, le vicende di Dracula (Bram Stoker, 1898), anche se il nome potrebbe trarre in inganno: Nosferatu, o conte Orlok, è un nome che non appare nel libro di Stoker, ma viene ideato da Murnau a causa dei problemi avuti con i diritti d’autore. Il film si differenzia dal romanzo originale per l’ambientazione, che viene spostata da Londra a Wisborg, in Germania, e per i nomi di alcuni personaggi. Nosferatu venne presto riconosciuto come uno dei capisaldi del cinema europeo, tanto che Werner Herzog, nel 1979, ha voluto omaggiare Murnau con un remake del film, nonostante i diritti di Dracula fossero scaduti. La nuova versione di Robert Eggers differisce da quella di Herzog, mantenendosi più fedele alla versione originale di Murnau, ma introducendo anche delle variazioni d’autore.
Lily-Rose Depp, nel personaggio della protagonista Ellen Hutter, spicca tra tutto il cast con un’interpretazione meravigliosamente angosciante, complici gli splendidi costumi di Linda Muir e la claustrofobica fotografia di Jarin Blaschke. Per tutto il film, la luce sembra costruita quasi interamente per sottolineare lo stato mentale di Ellen: fredda e naturale nei momenti di lucida inquietudine, calda e artificiale nei momenti di possessione. Un discorso a parte va fatto per il conte Orlok, interpretato da Bill Skasgård, il cui volto viene svelato progressivamente man mano che si avvicina a Wisborg. Non è un caso che, proprio nel finale, il volto del conte è l’unico a venire completamente illuminato, peraltro da una luce che non è né fredda né artificiale, ma calda e naturale: la luce solare. Ed è proprio il sole che appare simbolicamente solo in chiusura di film, che brucia via i residui del male rappresentato, appunto, da Nosferatu.
Tra questi due protagonisti, Ellen e Nosferatu, il rapporto è ambiguo: se da un lato Ellen si dimostra attratta dal vampiro da lei stessa richiamato in giovane età, dall’altro trova conforto nell’amore rassicurante del marito Thomas. Allo stesso modo il conte, ossessionato dalla carne della donna, arriva a “suicidarsi” pur di possederla (non si era accorto del mattino imminente o aveva deciso di godere del sangue di Ellen fino alla fine?).
Non è chiaro se questa ambiguità sia voluta o sia il frutto di una sceneggiatura formalmente ben fatta, ma approssimativa nello spiegare le azioni dei personaggi. In ogni caso, non sempre gli eventi risultano “spiegati” in maniera chiara. Sicuramente risulta approssimativa la fuga di Thomas dal castello, come anche la morte di Harding per peste. Anche di Ellen, si dice che viene presa dalla “malinconia” fin dalla più tenera infanzia: in alcuni punti sembra che si tratti una precoce possessione da parte di Nosferatu che, in realtà, lei libera solo successivamente spinta dall’odio del padre nei suoi confronti. Dall’altra, sembra che sia proprio l’odio del padre per la “diversità” della figlia a renderla malinconica: una strizzata d’occhio allo stereotipo dell’irrazionale femminile che, non venendo inglobato nell’ordine maschile, si sfoga nella lussuria fisica. E infatti sembra quasi che sia Ellen, più di Nosferatu, a rappresentare una sorta di “mostruoso sessuale” che, oscillando tra la lussuria del Conte e l’amore “borghese” di Thomas, finisce per godere, un po’ forzatamente, un po’ volontariamente, di entrambi gli amanti, finendo per sacrificarsi sull’altare della morte, che assume le perverse connotazioni dell’estremo piacere. Del resto, il film dipinge un ottimo quadro di come le donne venivano viste e volute nella società vittoriana: demoni emotivi e carnali che potevano trovare redenzione sacrificandosi per un bene maggiore.
Il film di Eggers possiede un cast eccezionale, una regia estremamente originale e un apparato visivo curatissimo, accompagnato da un montaggio sonoro che ben si adatta al tono gotico della pellicola. A livello tecnico, l’unica pecca sono i jumpscares, inserti decisamente inutili in un film esteticamente raffinatissimo che, in tutte le scene, punta ad angosciare lo spettatore, più che a spaventarlo. Nella sceneggiatura, non si può fare a meno di notare una certa “velocità” nelle spiegazioni, che mal si adatta al lento ritmo del film , il quale avrebbe avuto bisogno di dialoghi molto più riflessivi. In conclusione, un notevole horror d’autore che, senza la cura dell’apparato visivo e senza le notevoli interpretazioni di Depp, Hoult e Defoe, sarebbe stato un reboot non eccelso, ma senz’altro godibile per gli appassionati.