“Ciao papà, non ti ho conosciuto o, per meglio dire, non mi ricordo di te. Avevo solo un anno quando te ne sei andato. Nel giro di qualche mese un brutto male ti ha portato via. Ora, però, sogno di scambiare qualche parola con te. Ciao papà.”

Basta questa semplicità per introdurre il nuovo romanzo di Walter Veltroni, “Ciao”. Perché non c’è nulla di più vero e spontaneo di un rapporto tra un figlio appena nato e un genitore. Perché non c’è nulla che accomuna tutta l’umanità più che la morte.

Proprio di fronte a questo mistero nasce la voglia del giovane Walter di conoscere il padre. A scuola, dopo le classiche domande “Come ti chiami?” e “Di che squadra sei?”, arrivava sempre la terza: “Che mestiere fa tuo padre?”. Le possibili risposte per il piccolo Walter erano due: una frottola o la verità, anche se questa significava aprire le porte della categoria della morte anche all’amichetto, come a dirgli: “Può accadere anche a te!”.

Gli anni per Walter intanto trascorrono, una mamma forte e determinata e, come tutte le donne, più brava dell’uomo ad affrontare il dolore per quel legame ancestrale e altruistico che la lega con la vita, sempre al suo fianco. Walter cresce, si sposa, impegni giornalistici e politici, ma il desiderio di conoscere il padre non tramonta mai. Quel padre che, anche andandosene presto, ha regalato al figlio un grado ulteriore di profondità e di intelligenza (da intus = dentro; legere = leggere; leggere dentro) nei confronti del prossimo. D’altronde quella ferita lasciata dalla sua prematura scomparsa in qualche modo andava colmata con un dono al figlio.

L’ex segretario del Partito Democratico ha due figlie e dopo la loro nascita aumenta esponenzialmente il numero di pensieri sul suo papà. “Come si fa il padre?” è la domanda che si porta dietro per anni perché la curiosità, nel come affrontare questioni di cui non ha mai avuto un esempio pratico, è immensa.

Così arriva il libro “Ciao”. Un dialogo immaginario con una figura essenziale che si configura attraverso uno scambio di idee, discussioni e una domanda spiazzante di cui ogni figlio ha bisogno di sentirne e conservare la risposta: “Papà, ma tu sei orgoglioso di me?”.

E così, a fine presentazione, con grande e umile disponibilità, Walter Veltroni si ferma per qualche domanda. Dirette, ma pregne di significato, le sue risposte.image1

Walter, hai parlato di quell’orizzonte nella mente che la mancanza di tuo padre ti ha donato. Praticamente come lo possiamo descrivere?

“E’ il non lasciarsi scorrere le cose addosso e il condividere la propria vita con gli altri. Dobbiamo ritornare ad innamorarci delle storie della vita degli altri. Non ascoltiamo più. Siamo una società piena di paure e necessitiamo di raccontare la nostra vita agli altri per riceverne conferma. In realtà il dono più bello e l’ascolto, poi perché ripetersi la propria storia che già si conosce quando può essere l’aneddoto della storia degli altri a sorprenderci? Comunque la fantasia resta sempre il migliore orizzonte.”

A un giovane di oggi, che consigli daresti per affrontare la vita?

“Dubbi, passioni e sogni sono le chiavi di tante scoperte. Però non esiste la vita facile, comoda, serena. Esiste la vita piena. Ecco, avere dubbi, passioni e sogni per una vita in pienezza.”

Il consiglio più prezioso lasciato alle tue figlie che hai il piacere di condividere con tutti i giovani figli?

“Non pensate solo a voi stessi, la vita diventa noiosa.”

Con una stretta di mano e un “Ciao” Walter Veltroni ci saluta. Nello stesso modo in cui saluta anche all’arrivederci quel papà che non ha mai conosciuto, ma di cui gli sono state testimoniate l’allegria, la serietà, la simpatia e quella luce negli occhi tipica di coloro a cui piace il futuro.