Arrivo nel suo locale all’ora prestabilita. Mi accoglie con un sorriso e mi dice che si era dimenticato che sarei passata.
Ci sediamo fuori, a un tavolino, mi fissa con gli occhi verdi che ha ereditato dalla mamma, o forse dal papà, e incomincia a raccontarmi di sé.
Mi stupiscono sempre le persone che sanno raccontare la propria storia – io non lo so fare molto bene, nemmeno con chi conosco da anni.
La maglietta arancione risalta il colore mediorientale della pelle.
Mediorientale non è un colore ma dovrebbe esserlo. Non saprei come definirlo altrimenti.
Mediorientale è anche il suo italiano, impreciso ma efficace, imbarazzato ma deciso.

Sono nato a Gaziantep in Turchia e sono cresciuto con la mia famiglia. Ho studiato ma poi ho lasciato la scuola a 16 anni. Volevo fare il militare. Alla fine ho cambiato idea perché volevo girare, visitare. La mia famiglia sta bene, abbiamo una casa e una terra nostra, allora ho deciso di partire, o per l’Italia o per la Germania. Mia mamma non voleva che venissi qua, piangeva e mi chiedeva perché, ma io volevo partire.
Perché non sei andato in Germania?
Potevo andarci, ho un mio parente lì. Per il permesso di soggiorno dovevo però sposare una  turca nata in Germania. Ma non volevo usare dei soldi per farlo. Mi sono detto: sono giovane, ho la testa che funziona, posso fare tutto, faccio crescere la mia vita da solo, non ho bisogno di nessuno che mi dà il permesso di sposare una donna. Potevo andare da lei e pagare 5000 o 6000 euro ed ero a posto.
Perché, si fanno queste cose?
Sì certo, anche in Italia, ti prendi il permesso di soggiorno attraverso la moglie e poi ognuno fa la sua vita.
Mi stupisco della tranquillità di come mi conferma che si possa veramente comprare una moglie.

E in Italia conoscevi qualcuno?
Sì, c’era un mio amico a Milano.

Mentre parliamo, si avvicina un signore sulla settantina, capelli bianchi e giacca pesante, che si rivolge ad Ercan con accento ed espressività tipicamente piemontesi e gli dice:
Eh andiamo?
Aspetta un attimo, arrivo dopo.
Il signore insiste: Oh ma…dai eh!!
Per favore zio, dopo.

Io sorrido ma non so cosa dire – la scena è divertente.

C’era un mio amico a Milano, sono andato da lui e ci sono rimasto per 3 o 4 anni. Lavoravamo insieme e  pian piano ho imparato l’italiano.
Non conoscevi l’italiano?
No non lo conoscevo, non l’avevo mai parlato, però pian piano l’ho imparato. Mi sono fatto degli amici, ho girato per tutta l’Italia, giocavo a calcio.
Poi dopo Milano?
Sono rimasto 4 anni a Milano ma poi ho deciso di aprire un’attività per me. Lavoravo in fabbrica, ero carrellista, caricavo e scaricavo bancali in un grande magazzino. Ho lavorato un po’, messo i soldi da parte e ho deciso di aprire un locale.

Un kebab?
Eh, che cosa puoi fare? Io volevo aprire una attività mia, era difficile, l’unica cosa che potevo fare era aprire un kebab. Anche un mio parente lavorava da un kebabbaro a Milano.

Di nuovo il signore sulla settantina:
Hai finito?
Dai zio sono impegnato, vengo dopo.

E perché sei venuto a Cuneo?
Sono venuto per caso, per fare un giro, e ho trovato questo locale che mi è piaciuto. Cuneo è tranquilla, bella e non è povera, così 4 anni fa ho deciso di prendere questo locale.
Ma conoscevi qualcuno quando sei arrivato qua?
No, conoscevo solo questo zio, questo che è venuto adesso a parlarmi
.
Ah, e dove l’hai conosciuto?
L’ho conosciuto in stazione, al bar che c’è lì. Ero a Cuneo perché dovevo andare all’Enel a prendere un appuntamento per il mio locale. Gli ho chiesto dov’è l’Enel qua e lui mi ha detto: “Non ho niente da fare, andiamo insieme e facciamo”. Ha preso la macchina e siamo andati.

Veramente?
Sì veramente. Io sono andato lì, ho parlato e scherzato con lui, ho pensato: questa persona è brava. Siamo andati all’Enel, abbiamo preso un appuntamento,  poi mi ha riportato in stazione, gli ho offerto un caffè, mi ha dato il suo numero e mi ha detto: “Quando vieni qua e hai bisogno mi chiami”. E in pratica quando venivo a Cuneo per lavoro o per bisogno di qualcosa, lo chiamavo e gli dicevo: “Zio io arrivo a Cuneo da Milano, vieni, ci vediamo in stazione”. Andavo al bar e lo trovavo lì, se avevo bisogno di andare in Comune o da qualche parte lui mi aiutava. Lui è solo, vive da solo. Allora mi aiutava. Per questo io lo chiamo zio. Adesso viene qualche volta, se c’è qualche lavoro da fare io lo chiamo e lui viene. Io lo aiuto, se ha bisogno di qualcosa, se deve andare a comprare qualcosa io gli dico: “Vieni andiamo insieme a comprare la roba, vieni con me”.
E poi che hai fatto?
L’anno scorso ho aperto un nuovo locale ad Alba.

E chi ci lavora?
Ho fatto venire mio nipote.

L’hai fatto venire su dalla Turchia?
Sì, un anno fa è venuto su, adesso voglio portare anche un altro mio nipote. Lavorava in panetteria in Turchia quindi sapeva fare il pane, la pasta, allora l’ho portato qua, gli ho insegnato due mesi da me qui, gli ho comprato una macchina e  gli ho detto: adesso devi fare tutto tu. Ora ha 4 ragazzi che lavorano lì per lui. Ogni tanto io vado a guardare e a controllare, ma lui mi chiama per avere consigli, mi dice tutto. La mia vita è così ora, solo lavorare, dormire e lavorare.

Io adesso vado perché vedo che tanto tu non ti sei sbloccato da lì.
Adesso arrivo zio. (Lo indica e si rivolge a me) Questo è mio papà, mio papà.
Io vado a casa è tardi.
Vedi, anche qui ho trovato un papà, mi ha aiutato tante volte.
Eh ma adesso ho male alla schiena.
Lavori troppo zio, devi riposarti.
Senti, siccome non hai pagato il caffè, sgancia due euro che vado a comprarmi le cicche che se no devo cambiare 50 euro.
Non ce li ho, non ho moneta (cerca nelle tasche). Oggi ho fatto una schedina zio che se arriva vinciamo 200 euro.
Veramente non li hai? Ma guarda che testa.
Ah no, ecco li ho, ci sono, tieni. (Si rivolge a me, dopo aver letto la schedina allo zio) Pensa, con 5 euro puoi vincere 216 euro. Io una volta ne ho vinti 300 però quei soldi sono andati via subito, non ho visto un euro.
E perché?!
Li ho dati ai ragazzi (e fa cenno con la testa ai suoi dipendenti).

Rimaniamo a chiacchierare per circa un’ora. Non esagero se dico che in questo frangente ha salutato almeno dieci persone che sono passate di lì. Il suo racconto mi fa pensare.

Assuefatta come sono a storie di migrazioni difficili, dolorose, disumane, mi aspettavo da lui una storia tragica. E invece mi racconta di una vita piuttosto felice, certamente non priva di difficoltà, ma comunque serena. Mi stupisco. Non di lui ma di me. Non sono più capace a discernere la realtà da quello che vedo in tv? Non posso esserci caduta anche io, in questa trappola mediatica. Io la volevo, questa storia tragica, e invece la mia ingenuità è stata accolta e sbilanciata da un sorriso spalancato. Mi hanno fregata, mi hanno salvata. Pensavo di raccontare una storia triste, e invece vi ho raccontato un pezzo di quella che è una storia bella.

Da poco ho ritrovato una lettera che mi aveva scritto una amica ai tempi delle medie. Mi diceva: Ceci, non è tutto o bianco o nero nel mondo. C’è anche il grigio.

Ecco il punto: io mi aspettavo una storia nera.

Per me pensare a qualcuno che arriva dal Medio Oriente significa immaginare una storia travagliata, una vita difficile, dura. Per lo stesso meccanismo involontario per cui per altri “mediorientale” fa pensare immediatamente a “indesiderato”. È qualcosa di impiantato in profondità nelle mie sinapsi. È quasi incontrollabile. Quasi. Perché poi ci sono queste bellissime storie grigie. Qui ritrovo l’intento della mia rubrica: semplicemente, raccontare dei pezzi di vita. Senza la presunzione di voler insegnare qualcosa. Senza l’arroganza di pensare: noi europei stiamo bene, la nostra vita è bianca, nonostante alcune sofferenze temporanee, e abbiamo bisogno di storie nere per ricordarci cos’è veramente il dolore – al contrario tutta la gente che arriva dal Medio Oriente ha una storia nera. Esistono anche storie grigie: il mondo è molto più complesso di questa banale dicotomia bianco/nero, tutto sommato bene/parecchio male, Nord/Sud, e avevo bisogno di parlare con Ercan per esserne più consapevole.

Cecilia Actis

(Foto di Alessia Actis)