“Sarà difficile diventar grande
prima che lo diventi anche tu
tu che farai tutte quelle domande
io fingerò di saperne di più
sarà difficile
ma sarà come deve essere
metterò via i giochi
proverò a crescere”
A modo tuo, dicono Elisa e Ligabue ai loro figli. Una delle più belle dichiarazioni d’amore sottoforma di poesia musicata. Ma non è solo amore: dedizione e sforzi, paure e insicurezze. Perché essere genitore, lasciano intendere loro e tutta la retorica del nostro mondo, rimane il mestiere più duro al mondo.
Binario 1, treno delle 18.12, proveniente da Limone Piemonte, direzione Torino Porta Nuova. Cambio a Fossano, binario 7. Salgo, mi siedo, accanto a me un posto vuoto, ma solo più per poco. Un controllore lo indica ad una donna sulla sessantina, che si avvicina, insieme ad un’altra donna sulla cinquantina. Occhi piccoli e vuoti. Un principio di cifosi affossa la sua testa nella gabbia toracica. Nella mano, un’altra mano, quella della donna di sessant’anni. La donna di cinquant’anni siede accanto a me, il posto finestrino. Mi rivolge la schiena, sembra che abbia paura di me, oppure che sia estremamente timida. La donna di sessant’anni le dice di sbottonarsi il giubbotto: ci prova, ma non ci riesce. Lei la aiuta. Le chiedo se vuole sedersi, ma con tutta la dignità di questo mondo mi dice di no e rimane appoggiata alla porta.
La donna di cinquant’anni non scandisce bene le sillabe. Ma la donna di sessant’anni la capisce benissimo. Le risponde ad ogni domanda. Piange quando la donna di sessanta non le risponde, o le risponde ciò che non vuole sentirsi dire. La donna di cinquant’anni le chiede ogni trenta secondi dove siamo, e quella di sessanta le risponde con dignitosa pazienza ogni volta, facendola smettere di piangere quando le dice che siamo quasi arrivati. Ma ricomincia quando dice di aver paura di scendere dal treno, perché ci sono le scale e il treno è alto. Smette di piangere quando la donna di sessant’anni le dice che non cadrà, perché a salire non è caduta.
La donna di cinquant’anni nota i capelli lisci di una donna filippina seduta di fronte a lei, e così senza alcun preavviso, istintivamente, li accarezza. La donna di sessant’anni le toglie la mano, scusandosi mille volte per il gesto inopportuno, ma la donna di cinquanta lo rifà. La donna filippina le sorride, dicendo alla donna di sessant’anni che non fa nulla. E sorride alla donna di cinquanta come si sorride ad una bambina di quattro anni che sogna i capelli neri, lisci e lunghi quando sarà grande. Ma lei è già grande, ha i capelli corti, grigi e sporchi. Dopo trenta secondi la stessa domanda, se siamo arrivati a Fossano. Ma non siamo ancora arrivati a Fossano, prima c’è Centallo. Di nuovo la stessa domanda a Centallo, dopo altri trenta secondi, ogni trenta secondi dei successivi dieci minuti, la stessa domanda. La donna di sessant’anni le risponde, nello stesso modo in cui si tiene a bada un bambino di cinque anni. Ma ha le rughe. Sua figlia, e lei. Su entrambi i loro volti ci sono delle rughe.
La figlia non cadrà dalle scale del treno, perché sono in tre. Il padre fantasma, rosso di vergogna per una figlia che non è mai cresciuta – ma chissà per quale volontà – , si è seduto dalla parte opposta del treno, non partecipa ai dialoghi tra madre e figlia, e guarda fuori dal proprio finestrino, unica breve evasione di 15 minuti dalla propria vita. La moglie è in piedi su un treno in movimento, con addosso il peso dei suoi sessant’anni e una figlia di non si sa bene quanti. Ma sul suo volto è scolpita la dignità. Non un accenno di stanchezza. Di certo non si aspettava di dover vedere i capelli bianchi in testa alla figlia quando ancora avrebbe pianto per un viaggio in treno. Non si aspettava che lei avrebbe fatto fatica ad imparare a camminare, che non avrebbe mai imparato bene a parlare. Non si aspettava di dover essere madre di un’eterna bambina di quattro anni, alla quale non si possono più fare le trecce, intrappolata nel corpo di una donna di cinquanta che non sa di averli. Quando sua figlia aveva due anni, la immaginava una brillante ragazza di venti, una madre a trenta, brillante avvocato a quaranta, una nonna a sessanta. Ma nemmeno lei può diventarlo. Non si aspettava di dover vivere l’angoscia di pensarsi morta, mentre sua figlia non ne sarà nemmeno conscia. Non si aspettava di doversi preoccupare di sua figlia fino alla fine dei suoi giorni come è preoccupata una mamma agli inizi.
Siamo arrivati a Fossano. La donna di sessant’anni dice alla donna di cinquant’anni di mettersi il giubbotto. L’aiuta. Le dice di non alzarsi finchè il treno non si sia fermato. Sta zitta, al suo posto, in silenzio. È un momento speciale quello dell’arrivo. Deve fare attenzione a non cadere dalle scale, perché il treno è alto. Così si prepara a quel momento. Si alza quando le viene detto di alzarsi, come se nella sua testa, come se nella sua mente, non ci fosse nulla, se non gli ordini di sua madre. Con la mano della madre in una sua mano, e la mano del padre silente nell’altra, scende. La donna di sessant’anni aveva ragione. Non cade, perché a salire non è caduta.
Lascio a voi pensare alle parole da dire alla madre di un figlio che non può crescere.

Ylenia Arese