La “Chape” non c’è più, perché non sempre le favole hanno un lieto fine. Quel che è accaduto a Medellin, Colombia, lo scorso 28 novembre, non ha bisogno di ulteriori commenti, perché tanti hanno detto e tutti sanno. Settantuno le vittime di un aereo di linea che in quelle condizioni forse non avrebbe mai dovuto volare, sei i sopravvissuti.
Troppi i morti per pensare che fossero tutti giocatori di calcio. Non lo erano tutti, ma quando ad essere colpito è quel mondo che riempie di gioia e di lacrime gli occhi di milioni di appassionati in tutto il pianeta, non è possibile non fermarsi. Con il quadrimotore LaMia Airlines 2933 non hanno smesso di volare solo i sogni di giovani padri di famiglia, promesse dello sport più bello che esista o ragazzi sul viale del tramonto all’ultima grande chiamata sportiva della loro carriera.
Con loro, infatti, siamo feriti tutti. Il calcio del “Chape”era il calcio “bailado” dei brasiliani, fatto di samba e di allegria, ma anche il calcio dei pivellini, che stavano per contendere ad una squadra ricca di storia come l’Atletico Nacional la seconda coppa più importante del Sudamerica. Non sempre le favole hanno un lieto fine, ma sono pur sempre favole e come sempre destinate a durare in eterno nella memoria di chi le ha vissute.
Erano ragazzi, prima ancora che calciatori. Il loro ricordo ferma ogni altra parola: