Shady Amadi, classe 1988, giornalista, figlio di papà siriano musulmano e mamma italiana cristiana.

Lo incontriamo dopo un dibattito sul tema “Islam, la pace non solo nel nome” insieme a una brillantissima Chaimaa Fatihi, delegata nazionale dell’Associazione Giovani Musulmani d’Italia al Forum Nazionale Giovani.

Abbiamo parlato con lui della Siria e delle conseguenze di questa disastrosa guerra sui suoi abitanti, sui suoi sfollati e sul resto della scena internazionale.

C’è qualcosa che possiamo fare noi? Certamente. Le risposte di Shady vi chiariranno le idee.

La guerra in Siria finirà quando…? 

Questo non lo so. Finirà di sicuro quando la comunità internazionale, la società civile capirà che quello che sta avvenendo in Siria è un suo problema. Il fatto è che fino ad oggi questo non è stato compreso, quindi le prospettive non sono buone. E poi il dopo. Finisce la guerra, ma dopo come si ritrova questo paese con mezzo milioni di morti e tredici milioni di sfollati?

Qual è l’alternativa che tu vedi al regime di Assad?

Sostenere la società civile che cerca l’emancipazione dalla dittatura e dal fondamentalismo islamico. Sono ragazzi come noi che perdono la vita quotidianamente nella completa indifferenza della comunità internazionale.

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Nel tuo libro  (Esilio dalla Siria) dici che spesso i giornalisti definiscono la Siria come un “caos”, e questo non aiuta nessuno, tranne forse il regime e i gruppi fondamentalisti. Il problema è il giornalismo che non si interessa abbastanza alla Siria e non la conosce? Ci sono giornalisti in Siria adesso?

Sì, ci sono giornalisti siriani, sono i citizen journalist che documentano quello che avviene all’interno del paese. Quando io parlo di caos intendo dire che manca la contestualizzazione della notizia, cioè “90 morti ad Aleppo” non basta, devi spiegare al lettore cosa accade ad Aleppo e da quando. Bastano due righe per fornire quel dettaglio in più che aiuta il lettore a comprendere la situazione. E poi descrivere la situazione come un caos significa non voler vedere quello che davvero è accaduto, non mettere insieme i fatti che hanno portato al disastro di oggi.

Giornalisti italiani che coprono la Siria?

Ce ne sono stati molti che sono entrati nel paese e hanno fatto un ottimo lavoro. Il problema è che non sono stati apprezzati quanto invece lo sono stati altri. Io credo che ci sia un altro problema di fondo cioè quanto i giornali vogliono spendere sugli esteri. Il fatto è che credono che gli esteri non diano lettori, allora non gli rivolgono attenzione, e questo è un grosso problema.

Ma che cosa manca in Europa? Mi spiego: perché molti giovani europei decidono di trovare una risposta nel fondamentalismo? Perché partono?

La risposta non è solo il fondamentalismo, c’è anche chi va a combattere in altre formazioni che noi non consideriamo fondamentaliste come le YPG nel Kurdistan. Sono sempre giovani italiani che partono. Un NoTav di Torino (Davide Grasso, ndr) è andato là a fare un video contro Renzi. Lo si poteva fare anche da Cuneo sto video non andando in Siria. Questo è un vuoto che c’è in Europa e che colpisce tutti i giovani. Parlo di un vuoto identitario, un vuoto anche culturale di riferimenti morali, insieme poi a delle società che si stanno sfilacciando, che porta molti giovani a fare queste scelte. In Francia c’è anche il fenomeno della ghettizzazione dell’altro, del musulmano, che ha avuto ripercussioni nefaste con molti che sono andati a combattere. Ma poi qua in Italia, secondo me, come in altri paesi, c’è proprio un vuoto morale, un vuoto di riferimenti. La globalizzazione ci ha talmente tanto intrecciati che io vado a cercare la risposta al fallimento della mia vita in un altro paese, a dare senso alla mia vita in un altro paese, perché senso qua non ce l’ha.

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Noi cosa possiamo fare?

Svolgere una battaglia culturale profonda, senza santificare persone. Mettere in crisi anche la cultura che c’è oggi in Italia: chiedere di più di quello che ci viene dato. Noi giovani poi dobbiamo incontrarci, costruire una rete, dibattere tra di noi e impegnarci perché l’impegno manca. Io ascolto tanti miei coetanei – ho 28 anni – che mi dicono: “È inutile che io faccia le cose perché tanto non cambia nulla!”. Questa è la peggiore delle risposte perché non far nulla agevola quello che accade oggi nel mondo del lavoro, negli esteri e in tutto il resto. Invece noi dobbiamo rispondere a quello che non hanno fatto i nostri genitori.