Berlin è una saga d’avventura scritta da Fabio Geda e Marco Magnone, che narra le vicende di alcuni giovani della Berlino Ovest degli anni ’70, abbandonati ad una condizione di totale isolamento in un mondo senza adulti, sterminati da un virus che ucciderà gli stessi bambini e ragazzi una volta compiuti i 16 anni.

Tre dei sette libri che compongono la saga sono già in commercio e hanno ottenuto enorme consenso tra giovani e adulti.

Abbiamo incontrato i due autori a Scrittorincittà e non abbiamo saputo fare a meno di cercare di scoprire qualcosa in più di questo nuovo fenomeno editoriale.

http://oubliettemagazine.com/wp-content/uploads/Berlin.-I-fuochi-di-Tegel.jpgNella foto, la copertina del primo episodio sella saga.

 "È la prima esperienza 
 di scrittura per ragazzi
per entrambi".

Cosa significa per Fabio Geda e Marco Magnone scrivere un libro per ragazzi? Quali sono gli accorgimenti necessari? La risposta del pubblico giovanissimo è stata quella che vi aspettavate?

Fabio. È la prima esperienza di scrittura per ragazzi per entrambi, dunque siamo partiti dalla scelta della fascia d’età a cui rivolgerci. Fra i sette e i sedici anni le competenze dei ragazzi come lettori, la loro curiosità rispetto al mondo, il loro rapporto con l’oggetto-libro si modificano molto. Ad esempio, scrivere per un bambino di otto anni prevede che si sappia quale tipo di ironia, quale comicità possa piacergli, cosa possa fargli paura e cosa no. Sono sincero: io e Marco non eravamo sicurissimi di quale sarebbe stato il nostro pubblico, quindi abbiamo letto molti libri per ragazzi e abbiamo cercato di trovarvi una nostra strada.

Sono molte le variabili che compongono il fatto che un libro piaccia o non piaccia a dei ragazzi: c’è lo sguardo sul mondo, anzitutto, ma anche la scrittura, la struttura e il montaggio della storia… Noi, ad oggi, sappiamo che la storia piace molto, ma abbiamo anche capito che la struttura può essere troppo complessa per i nostri lettori più piccoli; allo stesso tempo però il basso livello di violenza e erotismo di questi libri ci mette più in contatto con i lettori delle Scuole Medie, che con gli adolescenti più grandi. Insomma, abbiamo scoperto che la nostra saga piace molto ai ragazzi della seconda e della terza Media, e poi agli adulti, che riescono a cogliere gli elementi storici e poetici che i più piccoli difficilmente individuano.

" ⌊...⌋ quando sono tornato in Italia
ho portato con me un bagaglio
di sentimenti e passioni per una città
che mi ha travolto e ha continuato a nutrirmi per anni."

Avete dichiarato che Berlin è nato anche da una ripetuta lettura del Signore delle mosche di WIlliam Golding e che, nel vostro caso, non è stato necessario inventare un’“isola” nella quale ambientare la vicenda, poiché la Berlino Ovest degli anni ’70 poteva rappresentarne una realmente esistita: come vi siete documentati e preparati per raccontare una storia complessa come quella quotidiana di una Berlino divisa dal muro?

Marco. Nel momento in cui abbiamo scelto di ambientare la storia a Berlino (su proposta di Fabio), poiché luogo adatto a rimettere in circolo l’archetipo letterario del mondo senza adulti, mi sono chiesto come fare a rendere credibile la descrizione della capitale tedesca e non farne una Torino o una Milano a cui attaccare sopra solo un’etichetta con scritto Berlino.

Ci siamo mossi su più livelli. Io ho vissuto, studiato e lavorato a Berlino per due anni e quando sono tornato in Italia ho portato con me un bagaglio di sentimenti e passioni per una città che mi ha travolto e ha continuato a nutrirmi per anni. È una questione estetica (Berlino ha un fascino notturno che poche altre città hanno), che nasce però in realtà dalla sua storia, dal fatto che è stata distrutta, divisa, ricostruita e ogni volta è ripartita da capo.

Ci siamo poi aiutati con ricerche sul campo: almeno una volta all’anno torniamo a Berlino e proviamo qualunque esperienza fisica dei nostri personaggi; ad esempio, cronometriamo i loro spostamenti da un luogo all’altro di cui parliamo o confrontiamo i luoghi attuali con foto degli anni ’70. Insomma, compiamo dei sopralluoghi. Tutto ciò può dare credibilità fisica e spaziale.

Per quel che riguarda i dati storici, cerchiamo di inserirli come ancore o ramponi per dare corpo alla piccola storia dei nostri personaggi. Rispetto alla cultura del tempo ci aiutiamo con le altre storie.

Quando i nostri ragazzi supereranno il muro conosceranno giovani cresciuti a Est, allora il punto sarà raccontare con credibilità la vicenda di questi cugini cresciuti in modo così diverso. Abbiamo cercato di essere molto rispettosi di una storia non nostra. Quando una casa editrice tedesca ha comprato i diritti del libro e ci ha assicurato che la nostra storia è credibile e racconta vere storie di tedeschi, ci siamo tranquillizzati.

 

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Nella foto, la copertina del secondo episodio.

"⌊...⌋ abbiamo cercato di porre l’attenzione anche su temi esistenziali."

Come vi collocate nei confronti dell’archetipo di Golding o Faraci (Oltre la soglia)?

Fabio. Abbiamo cercato una nostra strada, passando dalla solita distopia a un’ucronia (ndr. genere della narrativa fantastica ambientato nel passato e basato sul presupposto che la Storia abbia seguito corsi diversi da quelli reali) e ambientando il romanzo non in America, ma in Europa. Inoltre, abbiamo cercato di porre l’attenzione anche su temi esistenziali, non soltanto su quelli “fisici”, come l’esigenza di procacciarci il cibo, il rapporto con l’ambiente o il conflitto con un antagonista violento.

Marco. Aggiungerei che una differenza importante rispetto all’archetipo del Signore delle mosche è forse l’assenza di una tesi. Golding scriveva che gli uomini sono portati a fare il male come le api il miele, e questo si riflette nelle sue vicende. Noi mettiamo in circolo questa possibilità, perfettamente riflessa da alcuni gruppi, ma altri si oppongono. Vedremo quale delle due forze prevarrà.

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"Nella libertà di scegliere cosa
prendere da un libro risiede la
grande democraticità della letteratura."

I bambini di cui raccontate sono destinati a morire, la loro stessa vita pare una condanna. Perché? Si tratta soltanto di una scelta utile all’economia del racconto o c’è anche dell’altro?

Fabio. Proprio nella condizione della morte certa dei bambini si colloca una riflessione sul rapporto tra qualità e quantità della vita. A dei giovani che vivono in una contemporaneità che ci induce a dare molta importanza alla durata della vita, alla durevolezza di bellezza e gioventù, si mostra la condotta di ragazzini che sanno di poter vivere al massimo qualche anno (I vostri giovani lettori possono davvero cogliere una questione così profonda?  Credo che ogni lettore colga quello che vuole e può da ogni sua lettura, questa è la grande democraticità della letteratura; con i laboratori che spesso realizziamo cerchiamo comunque di mettere in luce questo aspetto agli occhi dei giovani lettori).

Marco. Inoltre, questa è la situazione di partenza. Sarà la storia a dare le dovute risposte sulla possibile esistenza di un antidoto o sulla possibilità di riscattare questa condizione di scadenza immediata.

 

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Nella foto, la copertina del terzo episodio.

"La saga di avventura non è certo stata inventata dagli Americani!"

Berlin è una saga d’avventura, genere ad oggi più propriamente americano che europeo. Credete avrà un futuro nel nostro continente?

Fabio. Dovrebbe avere un futuro: non si capisce perché non si dovrebbe cercare una via europea alla saga d’avventura, per ragazzi e non solo. Credo certamente che sia proprio l’approccio alle storie ad essere culturalmente diverso, e sicuramente il romanzo di avventura è più connaturato al Nord America, meno all’Europa, vicino piuttosto al romanzo di formazione o a quello esistenziale. Credo però anche che sia arrivato il momento di superare questa classificazione.

Marco. Abbiamo capito ormai che la roboanza tipica con cui gli Americani costruiscono le loro storie, anche con un certo grado di conflitto alla Hunger games, funziona e si lega a grandi pubblici, grandi investimenti, per mezzo di blockbuster che partono dal libro e creano dei film. Benché non siano saghe, anche gli universi della Marvel o della DC comics, con la loro esplosione di supereroi che passano dai fumetti al cinema a netflix, ci mostrano che questa tipologia di storie funziona. Tuttavia, questa tipologia di narrazione non è certo stata inventata dagli americani: già l’immaginario greco e nordico prendeva la forma della saga, componendosi di storie orali che poi si sono codificate nei miti giunti fino a noi; c’erano già diverse storie che si intrecciavano l’una con l’altra all’interno di orizzonti definiti, c’era già il conflitto, c’era la possibilità di identificarsi con i personaggi. Non è un caso che gli Americani abbiano inventato i supereroi, in mancanza di un mito fondativo in cui identificasi. Voglio dire, come la palla è passata da un lato all’altro dell’Atlantico, non vedo perché non dovrebbe rientrare a far parte del nostro patrimonio. L’importante è non cadere nell’imitazione americana, ma trovare nel genere una nostra strada.